Il Comune di Perugia fa guerra alla 'ndrangheta

Il Comune di Perugia fa guerra alla 'ndrangheta

di Egle Priolo
PERUGIA - Alla guerra contro la 'ndrangheta, elmetto in testa e codice penale in mano, partecipa anche il Comune di Perugia. Che ieri è stato ammesso come parte civile nel maxi processo contro i 95 imputati, compreso chi è accusato di associazione di stampo mafioso, delle due inchieste coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro “Malapianta” e “Infectio” e che vede nel mirino ben ventitré perugini. Le indagini dell'operazione “Infectio”, infatti, sono – come noto – state svolte dalla squadra mobile di Perugia, diretta da Carmelo Alba, che ha portato alla luce le presunte ramificazioni in Umbria della «locale di 'ndrangheta» di San Leonardo di Cutro.

Cocaina, armi, estorsioni, truffe bancarie e minacce: questo il portfolio criminale, secondo la Dda di Catanzaro e la Mobile di via del Tabacchificio, delle ventitré persone - perugine e calabresi da tanto tempo residenti in città - per cui si sta svolgendo l'udienza preliminare del maxi processo nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia. Novantacinque indagati, gli avvocati, i giudici, i magistrati, i cancellieri: tante, troppe persone tutte insieme in una stanza per rispettare le norme anti coronavirus. Tante, troppe per qualsiasi aula di tribunale calabrese: da qui la decisione di spostare tutto a Roma.
Dove il processo continuerà per tutti. Sempre durante l'udienza di ieri, infatti, sono state rigettate le eccezioni proposte dai legali dei perugini (tra gli altri, gli avvocati Antonio Cozza, Michele Nannarone, Saschia Soli, Donatella Panzarola, Francesco Falcinelli, Cosimo Caforio, Alessandro Ricci, Daniela Paccoi e Rita Urbani) sull'incompetenza territoriale del tribunale catanzarese, visto che i reati contestati ai loro assistiti si sarebbero consumati a Perugia e non in Calabria. Una strategia difensiva – dettata certamente non dal campanilismo giudiziario ma che avrebbe potuto aiutare anche a far cadere l’accusa più grossa per alcuni e cioè quella di associazione mafiosa – che il gup non ha accolto, decidendo però di ammettere appunto tra le parti civili anche il Comune di Perugia. Palazzo dei Priori, rappresentato dall'avvocato Massimo Brazzi, ha già anticipato di chiedere ben 3 milioni di euro per i danni di immagine causati dalla mala in città, soprattutto ai settori di economia e turismo. Soddisfazione, quindi, di legali e amministratori per questa decisione del giudice, che ha ammesso come parti civili anche il Comune di Cutro, la Regione Calabria e diverse società.

Quali le accuse per i perugini? Prima di tutto, un traffico in grande stile di cocaina. Direttamente dal porto di Gioia Tauro, stando almeno alle intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate nel corso dell’indagine, ma anche venendo a patti con i clan albanesi che a Perugia da anni ormai sono i grossisti della droga più ricercata e più redditizia. Un traffico rivolto a personaggi selezionati, «perugini con i millini...» come ha detto uno degli arrestati. Ma non solo, dal momento che il portfolio – come detto - si completava anche con armi, minacce nei confronti della concorrenza specie nel settore edile e truffe agli istituti bancari. Insomma, secondo la Dda diretta da Nicola Gratteri, un tentativo di innestarsi in modo sempre maggiore nel tessuto cittadino e non solo economico, se è vero che c'è chi dei 23 rischia il processo per aver provato, secondo le accuse, anche a condizionare l’andamento delle elezioni amministrative.
Tornando al processo aperto a Rebibbia, si prosegue a ritmi davvero serrati e si torna in aula anche oggi, mentre diversi imputati stanno già procedendo con la richiesta di riti alternativi.
Ultimo aggiornamento: Martedì 7 Luglio 2020, 11:32
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