Eugenia Tamburri, pianista, attrice rivelazione nel film di Papaleo “Scordato”: «Con Giorgia, altra debuttante, una grande intesa sul set e fuori»

Musicista crossover, dalle sale da concerto alla pubblicità, al ruolo di coach per tanti attori sul piccolo e grande schermo. Quest'estate in tour con Ornella Muti voce recitante

Eugenia Tamburri, pianista, attrice rivelazione nel film di Papaleo “Scordato”: «Con Giorgia, altra debuttante, una grande intesa sul set e fuori»

di Totò Rizzo

A.A.A. ruolo accettasi anche non di pianista recitante per prossimo film. Ci ha preso gusto, Eugenia Tamburri, 40 anni, molisana, una vita nella musica classica, prima allieva e poi docente nei Conservatori, una carriera crossover che va dalle austere sale da concerto alle pubblicità tv, dai trii di musica da camera all’attività di coach per programmi tv (“Tale e Quale”) e per gli attori del doppiaggio, dopo il debutto cinematografico come attrice in “Scordato” di Rocco Papaleo. Ciak, si gira ma quando si dice il destino perché tutto nasce da una mail finita in una spam.

«Papaleo e la produzione cercavano un pianista, maschio. La sceneggiatura prevedeva un uomo. Prima mail nella posta indesiderata. Seconda mail, rispondo. Non è stato facile ma li ho convinti, il ruolo è stato trasformato per un personaggio donna».

 

Ha sentito altre volte l’ala del “caso” nelle sue avventure artistiche?

«Sì, per esempio quando sei anni fa Valerio Binasco, regista, e Arturo Annechino, autore delle musiche, mi scelsero come pianista per “Le Fenicie” di Euripide al teatro greco di Siracusa. Suonare accanto a un’attrice gigantesca come Isa Danieli in un teatro come quello di Siracusa dove ogni pietra è storia e ogni sera ti trovi davanti a un pubblico di cinquemila spettatori, a tu per tu coi personaggi del mito, è un’esperienza che annulla la tua sensazione spazio-temporale. Qualcosa che credo si possa avvicinare al misticismo».

Ha frequentato tanti attori, nella sua carriera.

«Ho lavorato con Sebastiano Somma cui ho insegnato canto, con Paolo Calabresi che è stato un ottimo allievo di arie d’opera, con Vittoria Belvedere che ho preparato per “Tale e Quale”. Quest’estate poi, con un trio cameristico, con Ornella Muti voce recitante».

Nel film di Papaleo c’è un’altra musicista esordiente, Giorgia.

«È nata una simpatia immediata, ci siamo piaciute subito, ci scambiavamo consigli, sul set eravamo complementari. Un’intesa umana bellissima».

E avete parlato di progetti musicali insieme?

«Non ce lo siamo mai dette apertamente ma a volte si sentiva aleggiare questo desiderio che non s’è mai trasformato in una domanda esplicita. A me piacerebbe molto: sono una sua fan dai tempi di “Come saprei”».

E con Papaleo, diretta per la prima volta come attrice, com’è andata?

«Mi ha messo a mio agio subito, intesa stupenda anche questa, era quasi sempre buona la prima. E poi credo ci fosse il tema del film che ci unisse: lui lucano, io molisana, il ritorno alla propria terra, alle proprie radici, il leit-motiv dell’accordatura tra passato e presente».

Si è “riconciliata” pure lei con la sua terra?

«Sono andata via giovanissima, per studiare e per l’attività concertistica.

Ci sono tornata e rimasta durante il lockdown e ho avuto occasione, durante quei lunghi mesi, di elaborare e rielaborare il rapporto con il mio Molise».

Questa sua attività crossover si deve solo al “caso” o lei è curiosa di natura?

«Credo si debba ad entrambe le cose. Io sono curiosissima, non so star ferma. Dopo il diploma in Conservatorio a Campobasso, sentivo l’esigenza di nuove conoscenze e così mi sono iscritta all’Università e mi sono laureata mentre cominciavo già a fare concerti, poi sono tornata a studiare, a Santa Cecilia – con maestri come Bruno Canino e Rocco Filippini – e mi sono specializzata in musica da camera, che adesso insegno al Conservatorio di Foggia, poi piano piano sono arrivati il teatro, la tv, la pubblicità, perfino la radio: sono tra gli speaker di Radio Vaticana».

Un modo per evadere dal mondo accademico.

«Forse, anche se lo studio e la disciplina ti insegnano tanto, sono le basi di tutto. Una Sonata di Beethoven o un Trio di Schubert, secondo me, sono il passe-partout anche per saper leggere e interpretare una sceneggiatura».

E per poter convincere Ornella Muti a leggere il carteggio Beethoven-Goethe con un trio da camera.

«Era titubante quando io, il clarinettista Vincenzo Mariozzi e suo figlio Francesco, violoncellista, glielo abbiamo proposto. Ma ha accettato la sfida ed è stata bravissima, applauditissima. Disciplinata, severa con sé stessa, lontanissima dall’aura della diva del cinema». 

Altre sue passioni?

«La musica popolare che mi ha trasmesso mio padre così come l’amore per la musica in generale. Lui era direttore d’albergo ma si divertiva ad andare nei piccoli paesi del centro-sud a scovare canti e vecchi strumenti di quel repertorio. Mamma, biologa, era lontana da questo mondo. Adesso che lui è mancato, è come se avesse preso il suo posto anche nei confronti del mio lavoro, mi chiede degli impegni, delle nuove tournée».

A proposito…

«In agenda ci sono dei concerti cameristici in trio in Emilia Romagna e un ciclo di conferenze sulla musica medievale a Jesi».

In “Scordato” Papaleo è un accordatore di pianoforti. Un buon accordatore si serve di chiavi, martelletti, diapason, cacciavite, sordine… qual è lo strumento che ci accorda con la vita, secondo lei?

«Per me è stata la musica che credo possa essere importante per curare tanti mali del nostro tempo. E poi la preghiera: da credente penso che pregare sia, come la musica, una pratica che ci avvicina al trascendente. Musica e preghiera. D’altronde lo diceva Sant’Agostino, no? “Chi canta, prega due volte”».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 14 Settembre 2023, 15:08
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