Luc Montagnier, perché la teoria del premio Nobel è priva di fondamento. Il collega: «Non ha più un laboratorio»

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di Simone Pierini
«Il punto sta nell’essenza stessa della ricerca scientifica: solo i dati raccolti ed analizzati con un metodo rigoroso possono fornire risposte, e solo la replicazione multipla di un risultato da parte di più gruppi indipendenti dà un minimo di garanzia che non si stiano cacciando farfalle». In questa frase scritta da Enrico Bucci su Il Foglio c'è un po' tutto dell'essenza della ricerca scientifica. In sostanza non basta formulare un'ipotesi affinché questa si trasformi in una verità assoluta. E non basta nemmeno aver vinto un premio Nobel per dare certezza a un'ipotesi senza averla dimostrata. È il caso di quanto avvenuto con Luc Montagnier, 87 anni biologo e virologo francese vincitore del premio Nobel per la medicina nel 2008 grazie alla scoperta del virus dell'Hiv. Nel giro di una settimana è finito sulla bocca di tutti per aver sostenuto la tesi del virus SARS-CoV-2 creato in laboratorio e la sua correlazione con l'Hiv

Un piccolo inciso. Enrico Bucci, leggendo il suo curriculum, attualmente è «Adjunct Professor presso la Temple University di Philadelphia (dove conduce attività di ricerca sulla biologia dei sistemi del cancro) e ha fondato una piccola azienda dedicata all’analisi dei dati scientifici, con particolare riguardo alla loro integrità (Resis Srl). È autore di circa 80 pubblicazioni peer-reviewed e di un libro divulgativo dedicato alla frode scientifica pubblicato nel 2015 (Cattivi Scienziati, ADD editore, Torino)».

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Sempre Enrico Bucci in uno dei suoi articoli pubblicati lo scorso 7 aprile (prima delle affermazioni di Montagnier) sul Foglio scrive: «Ogni affermazione di qualunque ricercatore va fornita dati alla mano - per pochi che siano - senza inventare ipotesi o teorie da dare in pasto al pubblico prima di avere l’evidenza necessaria per supportarle»

Partendo da questo assunto di come operi la scienza prima di arrivare a una tesi, la maggior parte degli scienziati, compreso Bucci in un successivo testo, ha smontato punto per punto l'ipotesi (ripetiamo non dimostata) di Luc Montagnier. 

10MILA SCIENZIATI IN CORO: «IPOTESI MONTAGNIER INFONDATA»

È «falsa e infondatà l'ipotesi del Nobel Luc Montagnier, secondo la quale il nuovo coronavirus sarebbe nato in un laboratorio a Whuan: lo sostiene la Federazione Italiana Scienze della Vita (Fisv), che riunisce 16 società scientifiche per un totale di quasi 10mila scienziati. Per evitare fake news, come quelle incoraggiate dalle dichiarazioni di Montagnier, i ricercatori invitano a «non prendere automaticamente per oro colato quello che viene da un premio Nobel semplicemente perché ha questo titolo, anche perché questo particolare Nobel da molti anni sostiene bufale scientifiche e getta discredito sulla scienza sana».

Al di là del percorso di Montagnier e le sue tesi degli ultimi anni, che con l'attualità interessano meno, veniamo alla questione che ha scatenato il "movimento social" attorno al virologo francese. La Fisv rileva in una nota che l'ipotesi di Montagnier «si fonda su una ricerca indiana pubblicata su un sito non filtrato da revisori scientifici e ritirata perché la comunità scientifica ne aveva immediatamente segnalato le falle», e su un articolo pubblicato su «una rivista cosiddetta predatoria, di quelle che pubblicano qualsiasi cosa purché gli autori paghino laute cifre».

Secondo Montagnier, si legge nella nota, il virus Sars-CoV-2 sarebbe il risultato di una sperimentazione che avrebbe generato un virus ibrido con il virus dell'Hiv responsabile dell'Aids. L'ipotesi «ha fatto rapidissimamente il giro d'Italia sui social ed è stata riportata su telegiornali, quotidiani locali e nazionali, alimentando facilmente il sospetto che la ricerca abbia prima fatto il danno e poi nascosto la mano», osservano i ricercatori. Si tratta però di un'ipotesi «di fatto interamente falsa ed infondata», rilevano, e l'analisi delle sequenze genetiche del nuovo coronavirus conferma che si tratta di «una naturale evoluzione e non di una ricombinazione in provetta. Le brevi sequenze codificate anche nel genoma dell'Hiv si sono generate per caso, come dimostra il fatto che si ritrovano in numerose proteine di mammiferi, insetti, batteri, e virus»

IL COLLEGA DI LABORATORIO: «NON PRENDERE IN CONSIDERAZIONE LE SUE DICHIARAZIONI» 

Il professor Alberto Beretta ha lavorato per tanti anni al fianco nel laboratorio con Luc Montagnier. Ha pubblicato un post dal titolo inequivocabile: «Perché vi chiedo di non prendere in considerazione le dichiarazioni di Luc Montagnier». Lo riportiamo qui per intero. 

«Ieri ho ricevuto decine di messaggi da amici che mi chiedevano, disorientati, chiarimenti sulle dichiarazioni di Luc Montagnier sull’origine artificiale (ricombinante) del nuovo coronavirus. Ho passato tutta la giornata a rispondere e chiarire. I miei amici sanno che ho lavorato con lui quando ero a Parigi al Pasteur e mi considerano uno di quelli che sanno come veramente stanno le cose. Premetto che qualche giorno fa, dopo aver ricevuto da una persona a lui vicina, una mail con un’anteprima dell’intervista, gli ho scritto argomentando brevemente i dati da lui citati e chiedendogli di considerare gli effetti che le sue dichiarazioni avrebbero avuto sull’opinione pubblica (disorientamento, perdita di fiducia nella scienza, forse anche rabbia). Non ho ricevuto risposta.

Pochissime parole per spiegare che l’idea che qualche ricercatore abbia pensato di utilizzare il nuovo coronavirus per “costruire” un vaccino contro l’HIV è semplicemente ridicola. Per un solo motivo: nessuno sa se e come il coronavirus (SARS-Cov-2) sia in grado di indurre una risposta immunitaria protettiva (come gli anticorpi che tutti siamo in attesa di testare) e pertanto è assurdo pensare che qualcuno abbia modificato il virus per poterlo utilizzare come vaccino. Mi fermo qui e lascio agli altri colleghi più competenti in materia l’onere degli approfondimenti. Tenete però presente che Montagnier non ha pubblicato nessun dato che ci permetta di approfondire la sua ipotesi.

Vorrei però darvi qualche spiegazione sul perché, secondo me, Montagnier si è lanciato in una dichiarazione così apparentemente sconvolgente (e platealmente falsa). L’ho conosciuto nel 1984, quando ero ricercatore al Pasteur in un laboratorio vicino al suo. E con lui ho conosciuto tutto il team di ricercatori che ha contribuito all’isolamento del virus fra i quali Francoise Barre.Sinoussi, la ricercatrice che ha isolato il virus e che ha ricevuto insieme a lui il premio Nobel nel 2008, Jean Claude Chermann, il ricercatore che insieme a Francoise aveva messo a punto il sistema di rilevamento del virus, Willy Rosenbaum, il medico che ha riconosciuto il primo paziente e ha avuto l’idea di togliergli il linfonodo e portarlo al laboratorio del Pasteur per vedere se conteneva il virus, Simon Wein-Obson, il biologo molecolare che ha per primo sequenziato il virus e molti altri. Sono passati tanti anni ma siamo rimasti in contatto. Erano anni caldi al Pasteur, in pochi mesi l’equipe ha fatto ricerche fondamentali per la comprensione della causa dell’AIDS. Anni più tardi quelle ricerche portarono alla scoperta di farmaci efficaci e il resto lo sapete.

Senza voler togliere nulla a Montagnier vi posso però assicurare che senza quel team non sarebbe andato molto lontano. E’ normale, la ricerca è un lavoro di team. Il problema è che lui non ha mai voluto ammetterlo. Ha sempre accentrato l’attenzione dei media solo su sè stesso, spesso impedendo ai suoi collaboratori di comunicare i loro risultati e le loro idee, o semplicemente contraddire le sue. Altro stile a altra qualità quelli di Francoise, sempre silenziosa, mai davanti ai riflettori ma sempre in laboratorio a lavorare. In quegli anni la gente moriva di AIDS e molti di loro guardavano a Parigi in attesa di avere le ultime notizie per capire se potevano sperare. Montagnier aveva una vasta audience.

Cosa è successo negli anni successivi? Il team si è sciolto, la maggior parte dei ricercatori ha seguito una strada indipendente e Montagnier ha intrapreso una sua strada personale di ricerca che molto raramente lo ha portato a risultati concreti. Nel 2008 è stato insignito del più alto riconoscimento per uno scienziato, il premio Nobel. Da allora si è esibito in dichiarazioni pubbliche a dir poco sconcertanti spesso citando il famoso premio come se gli desse l’autorizzazione a dire qualsiasi cosa senza preoccuparsi di dimostrarla con metodi scientifici. Obbiettivo unico: guadagnare visibilità. Mezzi: qualunque, anche le storie più incredibili come quando ha convocato una troupe televisiva per dimostrare che riusciva a teletrasportare le informazioni genetiche grazie alla memoria dell’acqua, lavoro che gli frutterà un grosso seguito nell’ambiente della medicina omeopatica. O come quando dichiarò urbis et orbis che con la papaya fermentata curava il Parkinson (quello di cui soffriva Papa Giovanni Paolo II che sarebbe stato guarito dal miracoloso rimedio) e preveniva l’influenza. Fino all’ultima delle sparate, arrivata in un momento di visibile declino mediatico, quella che avete sentito ieri. E’ importante notare che Montagnier da anni ormai non ha un laboratorio nel quale fare le sue ricerche, e che tutti i suoi ex-collaboratori lo hanno abbandonato. Non solo, non ha nessuna dimestichezza con le tecniche di bioinformatica che permettono di analizzare le sequenze degli acidi nucleici dei virus. Insomma non si capisce veramente dove e come abbia potuto trovare conferma alla sua ipotesi.

Mi spiace condividere questa triste storia di un declino inesorabile. Ma vorrei rassicurarvi. Quella di ieri non è una querelle fra ricercatori. Il mondo della ricerca è coeso su un principio fondante: a ogni ipotesi deve corrispondere un metodo sperimentale di verifica senza il quale l’ipotesi, per bella o strana che sia, non vale niente. Tutti ci atteniamo a questo principio. Lui no».

 

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 22 Aprile 2020, 13:30
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