Tamponi persi, fila di 10 ore, il silenzio della Asl, l'odissea e la solitudine. «Voglio raccontare cosa significa avere il Covid e dover fare un test molecolare a Roma: praticamente un inferno», dice Francesca L., 48 anni, residente in zona Trastevere insieme a marito e figlio. Giorni durissimi dopo la positività del test rapido, con febbre e dolori, ma soprattutto l'incubo di mettere in moto una macchina burocratica che non funziona, nonostante siano passati mesi dall'emergenza dovuta alla pandemia.
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«La cosa grave è che non ti rendi conto della situazione se non la vivi - racconta Francesca - il mio medico di base quando l'ho chiamato mi ha detto "prenda una tachipirina, se il saturimetro scende sotto 90 chiami l'ambulanza. Non le prescrivo il tampone perché altrimenti dovrà stare in quarantena 10 giorni". Capite che follia? Invece ero positiva, grazie a un test rapido fatto in una struttura che sconsiglio vivamente a Belle Arti». A quel punto però, bisogna fare il molecolare: «Sono andata al Forlanini alle 8 del mattino visto che il drive in è aperto dalle 9 alle 19. Quando sono arrivata avevo davanti 100 macchine circa: la fila fuori, tra via Portuense e via Ramazzini, è durata circa 4 ore e mezza. Senza un bagno, senza nessuno che desse indicazioni. Una volta dentro, altre 5 ore in coda. C'erano bagni chimici e due persone della Protezione Civile che distribuivano acqua. Fine. In fila ho visto, famiglie, anziani, gente stanca. Gente malata, già positiva, voglio sottolineare. A me sembra una follia». E forse non solo a lei.
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E la Asl? «Niente, mai vista né sentita.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 16 Febbraio 2023, 12:59
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