Ambulanza sequestrata a Napoli: «Noi costretti a obbedire, temevamo di morire»

Ambulanza sequestrata: «Noi costretti a obbedire, temevamo di morire»

di Melina Chiapparino
Hanno denunciato il loro sequestro, e non si sono tirati indietro nel raccontarlo, ma la paura di vendette è inevitabile. «Esporci con i nostri nomi significherebbe dare la possibilità a chi ha usato violenza di continuare a farlo: non mettiamo a rischio la nostra vita» spiegano i tre uomini dell’equipaggio del 118, assalito domenica pomeriggio. «Non ci fermiamo ma tutti devono sapere che siamo dei bersagli» sottolinea G.S., medico 31enne che ricorda quei momenti drammatici.
 

Dottore, come è cominciato l’incubo?
«L’assalto all’ospedale Loreto Mare. Eravamo giunti al presidio intorno alle 17, dopo un intervento alla stazione centrale. Avevamo assistito e prelevato un extracomunitario per abuso di alcol e lo stavamo affidando al personale del pronto soccorso. Lo straniero era ancora sulla barella, quando siamo stati avvicinati da una decina di persone con fare minaccioso».

Chi erano?
«Tutti uomini tra i 20 e i 30 anni che gridavano e si agitavano. Quando hanno visto che parcheggiavamo l’ambulanza ci sono venuti incontro, e mentre stavamo fornendo le carte e le informazioni al personale del Loreto sull’extracomunitario, ci hanno assalito. Un gruppetto si è diretto verso l’autista ancora a bordo, davanti al presidio, e un altro ha accerchiato me e l’infermiere che invece eravamo nel pronto soccorso».

Cosa le hanno fatto?
«Non potevo più muovermi. Ci hanno circondati pretendendo un’ambulanza per qualcuno che volevano trasportare al Loreto Mare. Pochi istanti prima urlavano contro gli infermieri, poi quando hanno visto l’ambulanza si sono precipitati verso di noi. Ci volevano obbligare ad assecondarli: dopo le parolacce e gli insulti hanno cominciato a minacciarci e a dirci che ci avrebbero picchiati e puniti se non li avessimo aiutati».

Lei come ha reagito?
«All’inizio ho cercato di calmarli spiegando che non potevamo spostarci perché stavamo concludendo un intervento, ma non volevano sentire ragioni. Ho visto che alcuni uomini avevano preso di peso il nostro autista, costringendolo a uscire dall’ambulanza. In ospedale non c’era la polizia. Ho guardato l’infermiere, eravamo corpo a corpo col gruppo imbestialito che continuava ad agitarsi: nessuno di noi poteva prendere il telefono e chiamare aiuto, a quel punto abbiamo capito che non avevamo scelta».

Quindi, li avete assecondati?
«Ci avrebbero ammazzati di botte e avrebbero distrutto l’ospedale. Eravamo soli e siamo stati costretti a obbedire. L’infermiere si è procurato una barella, siamo saliti in ambulanza e siamo partiti scortati da decine di persone a bordo di scooter. Il tragitto è stato così breve che non abbiamo avuto il tempo di chiamare aiuto, per fortuna sono riuscito a nascondere il nostro tablet per timore che lo rompessero. Ci hanno portati in via Santa Maria delle Grazie, a pochi passi dall’ospedale dove, all’interno di un garage, c’era un ragazzino che si lamentava con accanto la madre».

Così avete effettuato l’intervento?
«La folla era aumentata e continuavano a starci addosso. Ho visitato il ragazzino, un 16enne che non presentava ferite, né segni di traumi, ma solo un dolore al ginocchio destro probabilmente causato da una distorsione. In ogni caso, abbiamo caricato il giovane in ambulanza e nuovamente scortati da decine di scooter, lo abbiamo portato al Loreto Mare dove ci avevano obbligati ad andare. Quando siamo arrivati, ho sentito che dicevano soddisfatti: “ecco vedete come si fa a trovare un’ambulanza!”. Queste parole mi hanno ferito più del sequestro».

Ha avuto paura?
«Certo, ho pensato al peggio. Abbiamo avuto 5 giorni di prognosi ma quello che ferisce è l’atto di prepotenza. Li chiamo “Gomorroidi”, si fanno forti nel branco dove agiscono da bulli con fare camorristico. Siamo stati costretti ad assecondarli, ma se avessero interrotto un intervento in codice rosso, che cosa sarebbe accaduto? Oramai siamo dei bersagli: bisogna fare qualcosa, ci vuole la polizia negli ospedali. Non basta denunciare come abbiamo fatto».
Ultimo aggiornamento: Martedì 7 Gennaio 2020, 11:46
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