Caso Genovese, rese note le motivazioni per lasciarlo in carcere: «Non si riconosce come stupatore»

Sono state rese note le motivazioni che hanno spinto i giudici a lasciare Alberto Genovese in carcere

Caso Genovese, rese note le motivazioni per lasciarlo in carcere: «Non si riconosce come stupatore»

di Redazione web

Un uomo che fa i conti con i suoi mostri interiori ed è «molto spaventato» dal rischio ricadute nell'abuso di droghe consumate durante quelle violenze sessuali per cui è stato processato ed è tutt'oggi sul banco degli imputati. Alberto Genovese, che deve scontare una pena definitiva di 6 anni e 11 mesi per due stupri, viene tratteggiato così dal tribunale di Sorveglianza di Milano che ha respinto la richiesta della difesa di essere curato in una struttura terapeutica, riprendendo quel percorso di recupero interrotto con il ritorno dietro le sbarre del 13 febbraio scorso.

La decisione

Il tribunale di Sorveglianza ha lasciato l'uomo in carcere, disegnandolo come un ex imprenditore «consapevole delle proprie fragilità», che si trova in un percorso di analisi «appena abbozzato», da qui l'invito dei giudici a «concentrandosi sull'analisi interiore e delle proprie parti 'non sane'».  Una decisione, quella dei giudici, presa nei giorni scorsi, ma le cui motivazioni solo oggi sono diventano note. Si dice «felice di essere stato arrestato» perché «unico modo in cui ha potuto fermarsi», ma il suo percorso terapeutico è solo ai primi passi. I giudici riconoscono il supporto a progetti rivolti alle persone tossicodipendenti, ma rilevano anche se ha risarcito economicamente le vittime, si tratta - alla luce delle sue disponibilità economiche - di un gesto «non particolarmente significativo, mentre di ben altra valenza sarebbe stata una sua eventuale richiesta di accedere a un percorso di mediazione con le vittime o con vittime aspecifiche, oppure il suo supporto ad organizzazioni o enti che si occupano di femminicidi o di donne vittime di violenza». Non una condizione necessaria, ma un punto di partenza per riconoscere un problema che Genovese sembra ricondurre solo all'uso di droghe evitando la strada della terapia di gruppo che è specifica per gli autori di delitti sessuali «nei quali probabilmente non si riconosce».

Una difficoltà a riconoscere una propria responsabilità che porta il collegio a ritenere l'affidamento terapeutico «del tutto inidoneo sotto il profilo della prevenzione della recidiva» rispetto a un uomo responsabile «di delitti connotati da estrema gravità» e che, a breve, comparirà in udienza preliminare per rispondere di violenza sessuale di gruppo, violenza sessuale aggravata, detenzione di materiale pedopornografico e tentata corruzione di testimone.

Fatti in corso di definizione che potrebbero aggravare la sua posizione processuale e in assenza di un quadro certo «si ritiene prematura la concessione del chiesto affidamento terapeutico, a prescindere dalla valutazione del programma proposto».


Ultimo aggiornamento: Martedì 7 Novembre 2023, 19:07
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