Giordano, bandiera della Lazio: «Immobile bomber di razza, come me»

Giordano, bandiera della Lazio: «Immobile bomber di razza, come me»

di Franco Pasqualetti
Gli occhi sono sempre quelli. Il cuore pure. E guardandolo giocare anche i piedi sono gli stessi che hanno fatto sognare per anni i tifosi laziali. Bruno Giordano gioca d'attacco: «Lazio mia credici. Fino alla fine».

In che senso?
«Ci sono delle stagioni in cui tutto può succedere. E questa mi sembra quella giusta per osare. La Lazio sta giocando un gran calcio e le avversarie, eccezion fatta per la Juve, stentano. Per questo dico: ragazzi carica».

Vede in questa squadra quella in cui giocava lei?
«Non si possono fare certi paragoni. È un altro calcio, un altro mondo, un altro rapporto con lo sport. Noi abbiamo fatto un'epoca, ora ci pensino i ragazzi di mister Inzaghi».

A proposito, le piace l'allenatore?
«Moltissimo, sta dando un'impronta forte e un'identità di gioco. E in più ha un grandissimo Ciro Immobile».

Quest'anno appena la tocca la butta dentro...
«Non è solo da quest'anno. Ciro è veramente forte. Ha classe e potenza e il sangue freddo del bomber di razza».

Va bene non fare paragoni, però la sua Lazio viene presa a modello anche dalle generazioni attuali. Prendiamo l'esempio della maglia storica...
«Quella era una squadra con gli attributi e i tifosi la portano nel cuore perché sapevano che da noi avevano tutto. Cuore, corsa, sudore, ardore, amore, fede».

Giordano, sembra stia parlando di una bella donna...
«La Lazio è di più».

Cos'è la Lazio per lei?
«È la vita, è casa mia, è il sogno che porto dentro da quando avevo tredici anni, quando feci il mio primo provino a Tor di Quinto».

Se lo ricorda quel giorno?
«E come potrei scordarlo?»

Ci racconti...
«Io andavo ancora a scuola, giocavo a calcio per passione e, nell'incoscienza dei miei tredici anni, quasi non osavo pensare che quella che era la mia passione sarebbe diventata un giorno il mio lavoro, la mia professione. Anzi, quelle rare volte che mi capitava di pensare al mio avvenire, mi vedevo tappezziere come mio padre. Un giorno da don Pizzi, al Don Orione, arrivò un osservatore della Lazio di cui ignoro il nome e che non ho mai conosciuto. A me dissero soltanto che era lì per veder giocare la mia squadra. Alla fine della partita diede tre nomi a don Pizzi: il mio e quello di due miei compagni di squadra, Galgani e Modesto. Noi convocati per un provino a Tor di Quinto, al campo della Lazio».

E poi?
«Il parroco ci disse Mi raccomando portate gli scarpini con i tacchetti, perche li c'e il campo d'erba, un campo vero, e voi siete abituati a giocare in campacci. Capirai e chi ce l'aveva gli scarpini da calcio. Costavano 18 mila lire, una cifra folle per la mia famiglia».

E come fece?
«Il parroco me ne diede un paio che qualche fedele aveva lasciato per i poveri. Io li portai a casa e li lucidai tutta la notte».

Come le scarpette di Cenerentola...
«Magari! Io portavo 38, quelli erano 40. Avevano i tacchetti di legno ma erano tutti mezzi rotti. Diedi più culate quel giorno che in tutta la mia vita ma alla fine giocai una gran partita e mi presero».

L'accompagnò sua madre?
«Si, facemmo un viaggio della speranza da Trastevere a Tor di Quinto, 4 mezzi diversi dell'Atac e un chilometro a piedi. Quando andai da lei dopo la doccia dicendole che ero diventato un giocatore della Lazio la sua risposta fu laconica: Ma se stavi sempre per terra. Mentre eravamo sull'autobus io ero euforico, lei mi guardava sorridendo, ma prima di scendere mi disse: vedianmo stasera che dice tuo padre».

Cosa le disse?
«Ragazzì, fai la tua scelta ma diventa il più forte di tutti».

Da lì è iniziato un amore con i colori biancocelesti.
«Sì un amore grande, grandissimo che mi ha accompagnato negli anni».

Oggi in che Lazio vorrebbe giocare Giordano?
«In quella del 74, con Giorgio Chinaglia».

Una squadra tosta eh...
«Quella è la Lazio. Io con quella maglia sul petto non ho mai avuto paura».

E oggi Giordano che uomo è?
«Un uomo di sport che vive per il calcio e la sua Lazio».

Gioca ancora?
«Con gli amici mi tengo in forma».

Anche in spiaggia ad Ansedonia, nonostante qualche fallo di troppo...
«(Ride, ndr) L'agonismo fa parte del gioco».

Lo sa bene il mio ginocchio destro...
«Se uno non ha il fisico meglio lasciare stare, no? (ride, ndr)».

Un sogno?
«Nella mia vita li ho realizzati quasi tutti, allenare un giorno la Lazio sarebbe il coronamento di una vita vissuta con due soli colori nel cuore: il bianco e il celeste».

Le lasciamo l'ultima battuta per un messaggio a questa squadra...
«Andiamo a vincere».
 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 17 Gennaio 2020, 09:16

© RIPRODUZIONE RISERVATA