Sanremo, Geolier: «Porto il dialetto sul palco dell'Ariston. Nel rap conta il messaggio; canto quello che vedo nelle strade»

L’artista che ha sbancato le classifiche italiane nel 2023: «Ora sogno l’Eurovision»

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di Rita Vecchio

«Cantare in napoletano all’Ariston è già una vittoria. Cantare in napoletano all’Eurovision sarebbe fare la storia». Geolier, 23 anni, con l’album “Il coraggio dei bambini” è stato il più ascoltato dell'anno in Italia. Con la foto di Napoli in tasca per scaramanzia, si racconta prima di partire per Sanremo, in gara con “I p’ me tu p’ te”, brano che parla d’amore, prodotto da Michelangelo. A dirigerlo, Francesco D’Alessio (nipote di Gigi), tra le firme del brano, insieme a Paolo Antonacci (figlio di Biagio) e a Davide Simonetta. «Il pezzo è nato appositamente per Sanremo. E dopo che Ama mi ha concesso di usare il dialetto, sono corso in studio. A darmi la spinta è stato Lazza. Il mio sogno resta, però, vedere anche Guè e Marra».

Indossa la maglietta dei Co’Sang, ricorda il «sentimento che ha dato Pino Daniele, la schiettezza di Massimo Troisi, la melodia di Gigi D’Alessio. Ho imparato da tutti, pure dalla neomelodica». Lo dice coerentemente con la continua evoluzione della musica napoletana, mescolanza di stili e di sonorità. «È vero che ho fatto tanti numeri con la mia musica.

Ma nel rap quello che conta è il messaggio. E il mio obiettivo è raccontare quello che vedo in strada. Vivo e giro tra i rioni, parlo con i miei coetanei. I film di mafia parlano dei soldi che si fanno, ma in pochi si accorgono che nel finale c’è la morte o il carcere. E mio padre “m’ha sempre imparato” a concentrarmi sul finale».

Oggi Napoli «è diventata cool, ma non solo per “Mare Fuori" o “Gomorra"». E se la politica la vede lontana perché «non ci rispecchia, tant’è che io stesso non potrei mai girare in Ferrari perché non sarei credibile di fronte a chi mi conosce», ribadisce il suo impegno a «uscire dall’etichetta della strada». E ricorda: «A 8 anni pulivo lampadari, lavorando a cottimo nelle case. La strada l’ho fatta tutti i giorni. La musica è il mio rifugio, la mia bolla. Voglio creare un futuro per me e per le persone che non lo hanno».

Continua a vivere a Secondigliano («Milano è per me solo lavoro, non ci vivrei») e continuerà a cantare in dialetto. «Il periodo storico è perfetto». Tra meraviglia e contraddizioni, “Vedi Napoli e poi muori", si dice, no? E Geolier, con “I p’ me tu p’ te”, è un pezzo di quella vitalità, e di quella resilienza culturale, della musica napoletana che non resta imbrigliata nei confini regionali. Per lui tre date (21- 22 - 23 giugno 2024) allo Stadio Diego Armando Maradona.


Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Gennaio 2024, 08:14
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