Coronavirus a Fregene, il commercialista: «Io, tornato positivo da Milano contagiato da una tazzina di caffè»

Il commercialista e il caso Fregene: «Io, tornato positivo da Milano contagiato da una tazzina di caffè»

di Mirko Polisano
Emanuele Lusi, commercialista di 50 anni. È lui il paziente risultato positivo al coronavirus a Fregene. Un caso che ha costretto alla chiusura per alcuni giorni dello stabilimento balneare Levante e preoccupato centinaia di bagnanti e frequentatori della struttura. Fortunatamente, ma anche grazie al rispetto delle misure anti-Covid nella struttura, non si è registrato un cluster: nessuno dei contatti - anche quelli stretti - del commercialista è stato infettato.
Ma partiamo dall'inizio. Quando e dove è avvenuto il contagio?
«I medici hanno circoscritto la fase di contagio tra il lunedì 27 e mercoledì 29 luglio. Giorni in cui per lavoro sono stato a Milano ma con tutte le precauzioni del caso. Mi muovevo in bicicletta e indossando sempre la mascherina. Non utilizzavo metro e treni. Se mi chiede come mi sono contagiato, la risposta è non lo so. Sono stato attento a ogni cosa. Le uniche due ipotesi per spiegarmi il contagio possono essere o quella di aver toccato qualcosa e, involontariamente, ho strofinato su bocca e occhi, oppure quella di aver bevuto da una tazzina di caffè, forse lavata male».
Al rientro, poi, è andato al mare a Fregene?
«Si, allo stabilimento Levante dove ricopro un incarico professionale, ma non un ruolo operativo: seguo la parte contabile e non ho contatti con il pubblico. Era sabato scorso (1 agosto) e ho passato una giornata di relax con la mia famiglia. Stavo bene e non avevo nessun sintomo. Abbiamo anche pranzato lì».
Era un asintomatico, dunque, inizialmente. Poi come si è evoluta la malattia?
«La notte ho iniziato ad accusare i primi malesseri. Prima qualche brivido, poi veri tremori e freddo. Io sono abituato ad ascoltare il mio corpo. Così ho deciso di recarmi in ospedale, non prima di essermi misurato la febbre e avevo 37,6. Da lì sono iniziate le preoccupazioni, tante le immagini che si affollano nella mente».
Cosa è successo poi?
«Al pronto soccorso mi hanno fatto il tampone e, nell'attesa, mi hanno lasciato in isolamento in una stanza. Poi è arrivato l'esito del tampone e la doccia fredda: ero positivo».
La prima cosa a cui ha pensato quale è stata?
«La preoccupazione di poter aver contagiato qualcun altro. Questa era la mia preoccupazione più grande. Sono abituato al rugby e a portarmi il peso delle responsabilità sulle mie spalle, perciò la circostanza di poter aver contagiato una persona a me cara così come un'altra ignara del tutto non mi faceva dormire la notte. Ho allertato subito lo stabilimento dove ero stato il giorno prima e in modo intelligente è stato deciso di chiuderlo in via precauzionale».
Poi è il contact tracing e la buona notizia...
«Si, la Asl ha fatto un lavoro eccezionale nella ricostruzione della filiera dei contatti. Fortunatamente nessuno delle persone che ho frequentato sono risultate positive. Nessun cluster a Fregene, nessun focolaio. Solo il mio caso isolato. E finché non sarò negativizzato ho deciso di rimanere alla Colombus, dove sono tutt'ora ricoverato».

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Ultimo aggiornamento: Giovedì 13 Agosto 2020, 07:36
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