No Tav, 4 condanne, ma cade l'accusa
di terrorismo: gli attivisti esultano -Foto

No Tav, quattro condanne: ma cadono le accuse di terrorismo
Terrorismo No Tav? Decisamente no. Le molotov lanciate il 14 maggio 2013 contro il cantiere del Tav in Valle di Susa non avevano una portata sovversiva. Due ore di camera di consiglio, al termine di un processo più rapido di quanto si era ipotizzato alla vigilia, sono bastate alla Corte d'assise di Torino per assolvere quattro anarchici dall'accusa di avere preso parte a un «atto di terrorismo con ordigni esplosivi» perchè «il fatto non sussiste». Una condanna c'è - tre anni e mezzo per ciascun imputato - ma per reati considerati «minori»: il porto di armi da guerra (le bottiglie incendiarie), il danneggiamento seguito da incendio (un compressore andato a fuoco), la resistenza a pubblico ufficiale. I pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino ne avevano chiesti nove e mezzo. Nessun risarcimento alla Presidenza del consiglio dei ministri e al sindacato di polizia che si erano costituiti parte civile. Il diritto a un indennizzo spetta solo a Ltf, la società che si occupa dei lavori. Il presidente Pietro Capello ha appena finito di leggere il dispositivo e il popolo No Tav che affolla l'aula bunker esplode in un applauso. Prima si leva il coro «libertà», poi, diretto ai rappresentanti dell'accusa, l'urlo «buffoni». I quattro anarchici (Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi, in carcere dal 9 dicembre 2014 e soggetti a un particolare regime di sicurezza) si abbracciano e si sciolgono in lacrime, mentre l'avvocato Claudio Novaro, che ha capeggiato la squadra difensiva, viene acclamato come un eroe, parla di «vittoria su tutta la linea» e annuncia che per i suoi assistiti chiederà gli arresti domiciliari. Nel pomeriggio scattano le manifestazioni e le dimostrazioni di solidarietà in tutta Italia. Si chiude così, per il momento, una delle partite giudiziarie più importanti fra quelle che hanno investito i No Tav. Quell'accusa di terrorismo, secondo gli attivisti, era soltanto un tentativo di stroncare politicamente il movimento valsusino con un'accusa e un processo spropositati. Nicoletta Dosio, storica pasionaria No Tav, descrive la sentenza come uno «schiaffo ai pm che usano la giustizia come grimaldello per difendere i poteri forti». «Abbiamo battuto la procura e i suoi castelli in aria», gongola il leader Alberto Perino. Al sesto piano del Palazzo di Giustizia non si nascondono le perplessità per come il presidente Capello ha respinto, durante il processo, la richiesta della procura di acquisire carte e testimonianze considerate indispensabili: bisognava dimostrare che l'attacco del 14 maggio 2013, essendo il culmine di un'escalation di vandalismi, sabotaggi e intimidazioni, aveva l'obiettivo di provocare un «grave danno all'Italia» costringendola ad abbandonare il progetto Tav. Questa, infatti, era la «finalità di terrorismo», così come dipinta dal codice penale. Quelle carte (uno studio della Bocconi, le dichiarazioni di un esponente dell'Ue come Laurens Jan Brinkhorst) sono comunque entrate nell'inchiesta bis, che riguarda altri tre anarchici che presero parte all'attacco. La battaglia non è finita. «Se non è associazione con finalità terroristiche incappucciarsi e organizzare l'attacco allo Stato - commenta il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi - qualcuno mi deve spiegare cosa sia. La condanna a 3 anni e 6 mesi è comunque positiva. Mi auguro che i pm facciano ricorso e li ringrazio per il loro coraggio».
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 17 Dicembre 2014, 20:18