Washington, la Corte d'appello: no alle sexy bariste in bikini. E le ragazze fanno ricorso: «Vogliamo scegliere noi la divisa»
di Alessandra Spinelli
IL RICORSO
Ma il titolare di uno dei locali e alcune bariste hanno fatto ricorso evocando il primo emendamento della costituzione, quello che tutela la libertà di espressione, e hanno vinto il primo round. Un giudice distrettuale ha stabilito infatti che le ordinanze erano troppo vaghe e arbitrarie e le ha sospese. Ma ora una corte d'appello ha annullato la sentenza e ha concluso che «il modo di vestirsi in questo caso non è sufficientemente comunicativo per meritare la protezione del primo emendamento». I dirigenti della città cantano vittoria, sostenendo che il look lascivo delle bariste alimentava la prostituzione e la violenza sessuale, come provato da alcune indagini della polizia. Ma le bariste di alcuni locali come Cowgirl Espresso, Peek-a-brew, Espresso gone crazy, hanno preannunciato appello. «Stanno cercando di esercitare il loro diritto di scegliere i loro abiti da lavoro», ha spiegato una loro rappresentante invocando una sorta di libertà femminista. «Le bariste vogliono esprimere messaggi positivi di confidenza col proprio corpo e di potere femminile. Questa decisione dice alle donne che il corpo femminile deve essere coperto e nascosto e che le donne devono essere protette da loro stesse».
LE INDAGINI
In realtà negli anni passati ufficiali di polizia sotto copertura nella contea di Snohomish, nello stato di Washington , hanno visto alcune ragazze eseguire servizi aggiuntivi per denaro extra, incluso lasciare che i clienti li toccassero, fotografarli o guardarli mentre si leccavano la panna. Nel settembre 2009, cinque bikini bariste al Grab 'n Go di Everett, a Washington, sono stati accusati di prostituzione dopo che la sorveglianza della polizia le ha scoperte a spogliarsi e compiere atti sessuali per denaro contante. Nel luglio 2011 il proprietario e tre impiegati di Java Juggs a Edmonds, Washington , furono accusati di prostituzione.
Ma a Everett nel dicembre 2017 contro i divieti del sindaco il giudice distrettuale Marsha Pechman lo aveva trovato incostituzionalmente vago e inoltre ha obiettato che avesse violata la loro libertà di espressione e che fosse incostituzionale sotto la clausola di Parità di protezione del 14 ° emendamento poiché riguardava solo le donne. Nel 2018 marzo la città aveva però presentato ricorso contro la 9a Corte d'appello che ha ora annullato l'ingiunzione.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 8 Luglio 2019, 17:22
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