La storia di Pino Bozza è una di quelle che colpisce, una storia di rivalsa e determinazione ma anche di eccessi e cadute. «Da piccolo mia madre mi diceva sempre che con i soldi dell’ovetto Kinder avremmo mangiato per un giorno sia a pranzo che a cena. Oggi un bel pezzo di “chocolate” lo mangio tutte le volte che ne ho voglia!», scrive su Instagram, a incorniciare una foto in cui le mani tatuate afferrano il volante di una Mercedes.
Prima di aprire la sua trattoria "Antonio La Trippa a Napoli, Bozza era stato vittima di una grave dipendenza da cocaina. Era il suo sogno aprire un locale. Aveva prarparato le insegne, i manifesti e tutte le stoviglie griffate. Ma la droga ha rovinato tutto. È allora la decisione di entrare spontaneamente in una comunità per tossicodipendenti in Toscana e riprendersi la vita in mano.
La storia di Bozza è ora raccontata anche in un podcast, “Cocaina e babà” di Gabriella Simoni su Spotify. La giornalista e inviata di guerra del Tg5 ha deciso di narrare la storia del ristoratore napoletano, «un antieroe moderno che cerca il senso di una vita complicata e controversa. Non è un pentito e non si vergogna del passato perché è quello che determina chi è oggi. Nel bene e nel male».
Da anni Pino Bozza è sulla cresta dell'onda. Amato e molto seguito sui social si è sempre esposto con toni forti su molti argomenti, soprattutto legati al cibo. Nonostante la posizione periferica, il locale è sempre pieno, sia di giorno che di sera. Conta all’incirca 200mila persone all’anno ed è anche tappa fissa di tutti (o quasi) i personaggi famosi che soggiornano a Napoli.
L'imprenditore è finito nella cronaca locale più volte, nel bene e nel male.
La notorietà lo ha portato anche a subire diverse rapine. Due ragazzi giovanissimi avevano percorso in sella a uno scooter via Pietravalle, ai Colli Aminei, dove si trova il locale inaugurato nel 2011 e dopo essere entrati, quando il ristorante era vuoto, hanno puntato la pistola contro Pino Bozza, fuggendo con un bottino di circa 40 mila euro: un Rolex Daytona, un laccio d’oro bianco che portava al collo e alcuni bracciali.
Un mondo, quello della criminalità, che ha visto da vicino più volte. Tra le centinaia di dipendenti che ha avuto, infatti, uno è stato speciale. Dimostrazione della sua generosità. Era Alessandro, faceva le rapine. «Qualche volta è capitato che litigasse con qualcuno, qualche volta che facesse a botte, altre che facesse tardi o che non venisse proprio a lavorare. Ma io non ho mai mollato la presa nei suoi confronti. Era un ragazzo che aveva talento, personalità», aveva raccontato su Instagram. Poi però Alessandro è stato ucciso a Milano, con un colpo di pistola.
Ultimo aggiornamento: Martedì 23 Gennaio 2024, 19:58
© RIPRODUZIONE RISERVATA