Province, una riforma rimasta a metà e il flop Città Metropolitane

Province, una riforma rimasta a metà e il flop Città Metropolitane

di Diodato Pirone
Il dossier Province è sempre stato trattato per slogan, il modo migliore per mantenere gli italiani in un perenne stato di litigiosità. Pertanto fa notizia scoprire che su un punto politici e tecnici sono tutti d'accordo: uno dei punti più deboli della riforma della Province varata nel 2014 è quello delle Città Metropolitane.
Per gli italiani sono enti perfettamente sconosciuti. In pratica sono ciò che resta delle ex amministrazioni provinciali delle 15 ex-province più importanti. In teoria sono governate dai sindaci della città metropolitana più importante: quindi Virginia Raggi per quella di Roma, Beppe Sala per quella di Milano e così via.

IL CASO ROMA
Così, ripetiamolo, in teoria. In pratica, questi organismi faticano a decollare. La Città Metropolitana di Roma, ad esempio, vive da sempre a bassa frequenza pur dovendo governare ben 4,5 milioni di abitanti. Basti dire che la sindaca pentastellata di Roma delegò le funzioni di cordinamento politico dell'ente al suo vice Fabio Fucci, all'epoca sindaco pentastellato di Pomezia che però si dimise a inizio 2018 perchè fuoriuscito dal partito. Da più di un anno la Città Metropolitana di Roma va avanti un po' per conto proprio, perché paradossalmente c'è poca polemica e gli amministratori di tutti i colori, riuniti nel Consiglio eletto da essi stessi, si danno una mano a vicenda approvando i magri bilanci (appena 56 milioni di investimenti nel 2019) che consentono di aggiustare qualche strada provinciale e di manutenere gli edifici scolastici.
Ma al di là del minimo sindacale garantito dai trasferimenti del Tesoro (che sono un po' risaliti dopo i tagli draconiani degli anni 2014/2017 coincidenti con il governo Renzi) l'attività della Città Metropolitana romana in sostanza è snobbata. Di programmazione del territorio, di idee per la gestione dell'ambiente e soprattutto di sviluppo della formazione (settori sui quali la Città Metropolitana sarebbe competente) quasi non c'è traccia.
Qualcosa di meglio si è visto nel Nord, in particolare a Torino e Milano, e a Bari nel Sud. Qui i sindaci della città di riferimento hanno delegato la guida delle rispettive Città Metropolitane a personalità conosciute sul territorio e gli Enti qualche lenticchia l'hanno portata a tavola.

Queste Città Metropolitane, avendo a disposizione qualche spicciolo, sono riuscite a farsi finanziare qualche progetto dall'Europa, in particolare tramite i Fondi Fers che prevedono il cofinanziamento al 50% dell'Unione Europea per attività delle Città Metropolitane.
La ragione della nascita di questi strani enti sta proprio in questi finanziamenti. Le Città Metropolitane, infatti, da anni sono abbondantemente finanziate dall'Ue nel Nord Europa. In Germania, Olanda, Francia e Gran Bretagna, però, le Città Metropolitane sono poche e ben organizzate poiché vertono solo su aree urbane con almeno due milioni di abitanti che naturalmente hanno bisogno di un coordinamento efficiente fra il comune principale e quelli della sua cintura.
In Italia invece le Città Metropolitane sono addirittura 15, di cui addirittura tre in Sicilia. Ma soprattutto ognuna di esse, come le restanti 97 Province, ha funzioni diverse dalle altre perché ogni singola Regione ha avuto il potere di fissarne le competenze. Inoltre sta funzionando malissimo l'idea di far coincidere le cariche di sindaco della città principale con quella di Presidente della Città Metropolitana o delle Provincia perché i sindaci tendono a trascurare quest'ultima. Ma per aggiustarle bisognerebbe uscire dalla modalità slogan. Impossibile, per ora.
 
Ultimo aggiornamento: Domenica 28 Aprile 2019, 09:19
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