Niente club di serie A e serie B. Il piano europeo di Giorgia Meloni appartiene a un altro campionato. Continuità e rottura. Non è un ossimoro, ma un metodo che la leader di FdI è pronta a portare a Palazzo Chigi per farne una bussola nei rapporti con Bruxelles. Continuità, perché i binari europei sono stretti. Da una parte i vincoli economici, a partire dal Pnrr, la tabella di marcia obbligatoria per chiunque succederà a Mario Draghi alla guida del governo. Forse si può discutere, di certo non si può stravolgere. Dall’altra i vincoli diplomatici. In Europa, ha ricordato la scorsa settimana il premier uscente, «siamo alleati di Francia e Germania».
A Bruxelles del resto c’è attesa per i risultati di domenica. A chiarirlo è la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: «Vedremo l’esito delle elezioni» in Italia. Anche perché, appunto, in ballo c’è la chiave di volta economica del Pnrr: «Se le cose vanno in una situazione difficile - parlo di Polonia e Ungheria - abbiamo gli strumenti. Se le cose vanno nella giusta direzione invece...». Il riferimento è agli strumenti usati contro i due Paesi per tutelare lo stato di diritto: «La commissione è il guardiano dei Trattati - ha spiegato durante un evento all’Università di Princeton negli Usa - Li deve proteggere e difendere e ha gli strumenti legali per farlo».
In ogni caso a dispetto dell’escalation retorica di una parte della stampa estera contro FdI, il canale preferenziale con Parigi e Berlino rimane. Emmanuel Macron definisce «ineluttabile» il rapporto con l’Italia, chiunque sia al timone da lunedì prossimo, e il governo tedesco fa altrettanto. Giovan Battista Fazzolari, che di Meloni è consigliere, la riassume così: «La sinistra europea, non Francia e Germania, è preoccupata da un governo Meloni». Il telefono delle rispettive missioni a Roma, in verità, è rovente in queste ore.
Perché se l’apertura di credito di Washington DC è ormai assodata, ai piani alti Ue si respira appunto quel clima di vigile attesa manifestato da von der Leyen.
Rottura, nell’agenda europea della premier aspirante, significa parlare anche con l’Europa dell’Est. Perché, ragionano, con la guerra di Putin in Ucraina i Paesi est-europei diventano frontiera occidentale. Cambiare - nel piano Meloni - vuol dire infine far sentire la propria voce ai tavoli Ue. E qui, a dispetto dei diversi temperamenti, si può scorgere una continuità con Draghi. Che - raccontano - in un recente confronto con Giorgia ha rivendicato con orgoglio un approccio non cedevole nelle trattative Ue. Talvolta ben più impassibile di chi lo ha preceduto a Palazzo Chigi.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 23 Settembre 2022, 09:05
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