Napoli: in ospedale con il coltello, è allarme malati psichiatrici

Napoli: in ospedale con il coltello, è allarme malati psichiatrici

di Ettore Mautone
Un grosso coltello a lama richiudibile (8,5 centimetri) è stato trovato addosso ad un paziente psichiatrico in attesa di ricovero in psichiatria al San Giovanni Bosco. «Non è la prima volta - spiegano - in genere queste persone hanno con sé veri e propri arsenali». A darne notizia è il consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli che invoca controlli più serrati e l’uso di metal detector in ospedale. «Sabato - racconta - un paziente affetto da disturbi psichici è stato accompagnato in ospedale dai personale della Polizia di Stato e del centro di Salute mentale del distretto di Secondigliano. Il coltello era nascosto negli slip». Coltelli, lamette, forbici, armi da taglio, a volte pistole: ecco l’armamentario di pazienti con problemi mentali e pericolosi per la collettività. «A norma di legge noi non potremmo perquisirli - concludono gli operatori - ma preferiamo compiere questa irregolarità anziché mettere a repentaglio la vita nostra e degli altri». 

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Dall’inizio dell’anno sono quattro le segnalazioni di pazienti con disturbi mentali che hanno provocato allarme nel presidio della Doganella. La notte del 31 dicembre una internista viene affrontata con una bottiglia rotta e ferita lievemente. Il 2 gennaio un’altra dottoressa del 118 è scaraventata violentemente a terra da un romeno che tenta di scappare dopo il trasporto alla psichiatria della Doganella. Nel pomeriggio dello stesso giorno, durante l’attesa in pronto soccorso, un ragazzo con problemi picchia violentemente il proprio padre che tenta di calmarlo. Infine sabato l’inquietante ritrovamento del coltello. A Napoli solo il San Giovanni Bosco, con 8 posti letto, e l’Ospedale del mare (con due reparti, maschile e femminile) hanno servizi di ricovero per la psichiatria ma la rete dei soccorsi, in caso di urgenze, è stata recentemente riorganizzata con il disegno di un minuzioso percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale (Pdta) che risponde ad alti standard di qualità. Come mai dunque l’escalation di episodi? Cosa succede nella routine delle emergenze psichiatriche? 
 
 

Su questo fronte, di recente, il manager della Asl Ciro Verdoliva ha correttamente chiarito che gli episodi di violenza in corsia riconducibili a pazienti psichiatrici non vanno mischiati con quelli generati da intemperanze di persone perfettamente abili dal punto di vista mentale. Ma gli eventi critici si susseguono. Spie accese, eventi sentinella, su cui sarebbe utile approfondire l’analisi da parte degli uffici preposti al rischio clinico. Un primo dato è che il San Giovanni Bosco sembra essere il più esposto. Il percorso assistenziale disegnato dagli psichiatri della Asl, e adottato per delibera a inizio dello scorso dicembre, è molto complesso nel meccanismo attuativo. L’impostazione di fondo è corretta, evitare di ghettizzare i malati, ma spesso questo si traduce in una riduzione dei margini di sicurezza. Così resta alto il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio (Tso) che peraltro si configura in una procedura lunga e complessa che, soprattutto nei fine settimana, di notte e nei festivi, ricade sulla responsabilità del personale del 118 che non sempre trova collaborazione dalle guardie mediche, forza pubblica, vigili e protezione civile chiamati ad autorizzare il procedimento. 
 

«A volte - avverte Antonella Barbi, medico del 118 e sindacalista della Cisl - impieghiamo ore e ore per venire a capo della situazione. Di recente, per un intervento iniziato nel tardo pomeriggio, siamo tornati in postazione alle 3 di notte. La continuità assistenziale territoriale, notturna e festiva, è garantita dalle 5 articolazioni territoriali interdistrettuali ma il problema è che un tempo c’era la reperibilità di psichiatri del distretto anche di notte e nei festivi che intervenivano a domicilio, conoscevano il paziente e lo trattavano. Oggi molte reperibilità sono state abolite e il ricovero in ospedale si traduce in un imbuto in cui l’attesa può essere molto lunga».

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«Il Pdta è un ottimo progetto ma servono più risorse - aggiunge Natale De Falco, impiegato in pronto soccorso al presidio della Doganella e componente del direttivo della Cimo - basterebbe delegare unità infermieristiche o anche operatori socio-sanitari alla sorveglianza del paziente in attesa. Di recente abbiamo ricoverato un migrante che aveva bisogno di camminare. Non si fermava mai. Innocuo, entrava e usciva di continuo dall’ospedale. Lo abbiamo accompagnato nel suo disagio. L’altro giorno in emergenza ce n’era un altro che si procurava lesioni. Ci hanno pensato i genitori a contenerlo. Poi c’è Fabio, una vecchia conoscenza: vuole a tutti i costi ricoverarsi perché dice che solo così sta bene ma la degenza per lui non è indicata e dunque staziona perennemente in pronto soccorso».
 
Ultimo aggiornamento: Lunedì 6 Gennaio 2020, 13:21
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