Non sarà un discorso "accettabile" da quei manager che hanno invece immaginato gli aeroporti come luoghi aperti alla città e non solo dedicati agli utenti dei voli, dove il business può anche prescindere dal viaggio. Tuttavia, se l'intento è quello di evitare attacchi terroristici, le hall di uno scalo sembrano diventate più pericolose e ingovernabili. Non sono da meno gli ambienti che conducono alle partenze internazionali: gli attentati di Istanbul e Bruxelles parlano chiaro.
Basta così? Macchè. Nelle sfavillanti gallerie commerciali con decine di negozi e boutique, nei ristoranti tipici e nelle pizzerie, perfino nelle zone di sosta dotate di monitor inganna-attesa sarà meglio comprare alla svelta. Poi via, dietro al metal detector, a tirare un sospiro di sollievo nelle zone "duty free" che ora sembrano anche "salva-vita".
Eravamo soprattutto preparati ad impedire che qualcuno portasse a bordo bombe ed armi. L'attentato di Istanbul, che segue quello di Bruxelles, conferma invece che sono le zone più indifese di un aeroporto quelle maggiormente a rischio: qui è difficile distinguere i passeggeri "buoni" da quelli "cattivi".
In Francia, ad esempio, in questo periodo la parola più utilizzata è "desolé"
No, specie se presto le compagnie aeree punteranno decisamente sul check-in elettronico obbligatorio. Però l'unica salvezza sta nell'intelligence: intercettazioni telefoniche, monitoraggio delle conversazioni sui social network, 007 infiltrati nei gruppi sovversivi e filo-jihadisti rappresentano il modo più efficace di combattere chi semina terrore. E stare - tutti - con gli occhi ben aperti. Meglio allarmare le forze dell'ordine se qualcosa non convince. Siamo in guerra, si salvi chi può.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 29 Giugno 2016, 18:54
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