Israele, le manovre su Rafah alzano la tensione con l’Egitto. Il Cairo: «Non si avvicinino ai nostri confini»

Mentre l'Idf schiera i tank per l'offensiva a Sud, i vertici di Hamas all'estero giocano la carta della tregua

Le manovre su Rafah alzano la tensione tra Israele e l’Egitto. Il Cairo: «Non si avvicinino ai nostri confini»

di Mauro Evangelisti

La proposta, provocatoria, è stata consegnata da un membro dell’Ufficio politico di Hamas, Khalil al-Hayya, in una intervista ad Ap: l’organizzazione s’impegna ad accettare una tregua di cinque anni se Israele accetterà la creazione di uno stato palestinese. In teoria sembra un passo in avanti, visto che anche la Casa Bianca sostiene la necessità dei due stati (ma senza Hamas), ma nella pratica le precisazioni che fa al-Hayya rendono irricevibile, per Israele, la proposta: rivendica il «diritto storico su tutte le terre palestinesi» nonché il riconoscimento del «diritto al ritorno». Significherebbe, in linea teorica, il rientro di sei milioni di discendenti di rifugiati nel territorio di Israele.

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MANOVRE

Più realistica la proposta che, secondo l’agenzia di stampa russa Tass, Hamas tramite l’Egitto ha presentato a Israele: in cambio della sospensione degli attacchi delle forze israeliane offre il rilascio degli ostaggi e lo stop ai combattimenti per un anno. Quel tempo andrà usato per la creazione di uno stato palestinese. Infine, funzionari israeliani parlano di un terzo possibile accordo, più limitato: liberazione di 20 ostaggi da parte di Hamas in cambio della possibilità concessa ai palestinesi di tornare al Nord della Striscia. Solo ipotesi, per ora la trattativa non si sblocca. Ieri in Israele tutta l’attenzione è stata concentrata sulle grandi manovre per l’inizio dell’offensiva di terra a Rafah: in serata decine di carri armati erano ammassati al confine Sud, segnale che l’attacco è vicino. A Rafah, l’ultima cittadina prima del confine con l’Egitto, si erano rifugiati 1,4 milioni di palestinesi (dove solitamente vivevano in poco più di 250mila). Una parte è riuscita ad andarsene, si calcola circa 200mila, in direzione Khan Yunis, al-Muwasi, Gaza City. L’esercito israeliano sta allestendo delle tendopoli. Qualcuno ha superato il confine verso l’Egitto (s’ipotizza 80-100mila), ma su questo anche ieri il presidente al-Sisi ha ribadito: «Abbiamo adottato fin dall’inizio della guerra una chiara posizione. Siamo contrari alla migrazione forzata dei palestinesi dalle loro terre verso il Sinai o verso qualunque altro posto, garantiremo la salvaguardia della sicurezza nazionale egiziana». Un sito egiziano riporta le dichiarazione di una «fonte informata» del Paese: «La presenza militare israeliana al confine con l'Egitto costituirebbe una violazione del trattato di pace e la risposta del Cairo sarebbe decisiva».

Ieri si è riunito il gabinetto di guerra in Israele, l’Idf da giorni spinge perché venga dato il via libera all’attacco poiché ritiene che a Rafah si nascondano ancora 4 battaglioni di Hamas.

In uno dei raid aerei dell’Idf sono stati uccisi un cooperante belga e il figlio di 7 anni. Intanto, le Nazioni Unite confermano la notizia anticipata dal network israeliano i24News: mercoledì il molo costruito dagli americani al largo di Gaza per consegnare gli aiuti umanitari è stato oggetto di un attacco che ha causato dei danni proprio mentre c’erano dei funzionari dell’Onu. L’Idf ha aggiunto: «I terroristi hanno sparato colpi di mortaio contro il molo». L’esercito israeliano ha ritirato da Rafah la Brigata Nahal e questo viene letto come il segnale che l’offensiva di terra sta per cominciare. La comunità internazionale, temendo un altissimo numero di vittime tra i civili palestinesi, tenta di accelerare l’azione diplomatica. Biden e i leader di altri diciassette Paesi (Argentina, Austria, Brasile, Bulgaria, Canada, Colombia, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna, Thailandia e Regno Unito) hanno diffuso un messaggio: «Chiediamo il rilascio immediato di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas a Gaza da oltre 200 giorni. Includono i nostri stessi cittadini. La sorte degli ostaggi e della popolazione civile di Gaza, che sono protetti dal diritto internazionale, è motivo di preoccupazione internazionale».

TIMORI

Ad ostacolare qualsiasi accordo che porti allo stop dei combattimenti, al rilascio degli ostaggi (quelli ancora in vita dovrebbero trovarsi a Rafah) in cambio della scarcerazione di prigionieri palestinesi e all’invio di aiuti umanitari, secondo un funzionario americano citato in forma anonima da una ricostruzione di Times of Israel, c’è l’ostinazione di Yayhya Sinwar, leader militare di Hamas che si trova dentro la Striscia di Gaza, nelle gallerie sotterranee. I vertici politici a Doha erano vicini ad accettare i termini della tregua, ma poi l’intesa è saltata. Dice il funzionario Usa: «In questo momento la verità è che c’è un accordo sul tavolo che soddisfa quasi tutte le richieste avanzate da Hamas. L’opinione degli egiziani, dei qatarioti e di coloro che sono abbastanza profondamente coinvolti è che la risposta arrivata all’interno di Gaza non è stata costruttiva». In sintesi: Sinwar non vuole alcun tipo di accordo.


Ultimo aggiornamento: Venerdì 26 Aprile 2024, 10:06
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