La proposta, provocatoria, è stata consegnata da un membro dell’Ufficio politico di Hamas, Khalil al-Hayya, in una intervista ad Ap: l’organizzazione s’impegna ad accettare una tregua di cinque anni se Israele accetterà la creazione di uno stato palestinese. In teoria sembra un passo in avanti, visto che anche la Casa Bianca sostiene la necessità dei due stati (ma senza Hamas), ma nella pratica le precisazioni che fa al-Hayya rendono irricevibile, per Israele, la proposta: rivendica il «diritto storico su tutte le terre palestinesi» nonché il riconoscimento del «diritto al ritorno». Significherebbe, in linea teorica, il rientro di sei milioni di discendenti di rifugiati nel territorio di Israele.
MANOVRE
Più realistica la proposta che, secondo l’agenzia di stampa russa Tass, Hamas tramite l’Egitto ha presentato a Israele: in cambio della sospensione degli attacchi delle forze israeliane offre il rilascio degli ostaggi e lo stop ai combattimenti per un anno. Quel tempo andrà usato per la creazione di uno stato palestinese. Infine, funzionari israeliani parlano di un terzo possibile accordo, più limitato: liberazione di 20 ostaggi da parte di Hamas in cambio della possibilità concessa ai palestinesi di tornare al Nord della Striscia. Solo ipotesi, per ora la trattativa non si sblocca. Ieri in Israele tutta l’attenzione è stata concentrata sulle grandi manovre per l’inizio dell’offensiva di terra a Rafah: in serata decine di carri armati erano ammassati al confine Sud, segnale che l’attacco è vicino. A Rafah, l’ultima cittadina prima del confine con l’Egitto, si erano rifugiati 1,4 milioni di palestinesi (dove solitamente vivevano in poco più di 250mila). Una parte è riuscita ad andarsene, si calcola circa 200mila, in direzione Khan Yunis, al-Muwasi, Gaza City. L’esercito israeliano sta allestendo delle tendopoli. Qualcuno ha superato il confine verso l’Egitto (s’ipotizza 80-100mila), ma su questo anche ieri il presidente al-Sisi ha ribadito: «Abbiamo adottato fin dall’inizio della guerra una chiara posizione. Siamo contrari alla migrazione forzata dei palestinesi dalle loro terre verso il Sinai o verso qualunque altro posto, garantiremo la salvaguardia della sicurezza nazionale egiziana». Un sito egiziano riporta le dichiarazione di una «fonte informata» del Paese: «La presenza militare israeliana al confine con l'Egitto costituirebbe una violazione del trattato di pace e la risposta del Cairo sarebbe decisiva».
Ieri si è riunito il gabinetto di guerra in Israele, l’Idf da giorni spinge perché venga dato il via libera all’attacco poiché ritiene che a Rafah si nascondano ancora 4 battaglioni di Hamas.
TIMORI
Ad ostacolare qualsiasi accordo che porti allo stop dei combattimenti, al rilascio degli ostaggi (quelli ancora in vita dovrebbero trovarsi a Rafah) in cambio della scarcerazione di prigionieri palestinesi e all’invio di aiuti umanitari, secondo un funzionario americano citato in forma anonima da una ricostruzione di Times of Israel, c’è l’ostinazione di Yayhya Sinwar, leader militare di Hamas che si trova dentro la Striscia di Gaza, nelle gallerie sotterranee. I vertici politici a Doha erano vicini ad accettare i termini della tregua, ma poi l’intesa è saltata. Dice il funzionario Usa: «In questo momento la verità è che c’è un accordo sul tavolo che soddisfa quasi tutte le richieste avanzate da Hamas. L’opinione degli egiziani, dei qatarioti e di coloro che sono abbastanza profondamente coinvolti è che la risposta arrivata all’interno di Gaza non è stata costruttiva». In sintesi: Sinwar non vuole alcun tipo di accordo.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 26 Aprile 2024, 10:06
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