Una tessera vaccinale, utile per certificare l’avvenuta somministrazione del farmaco. Di questo documento, semplice e tuttavia utilissimo, non c’è traccia, almeno per ora, nella copiosa e floreale comunicazione dell’apparato che gestisce la guerra al Covid-19. È vero che le Asl e i medici di famiglia, quando si tratta di vaccini, possono rilasciare un attestato, una specie di certificato.
Ma l’uso di una tessera vaccinale potrebbe andare ben oltre.
Il documento potrebbe somigliare a una tessera elettorale, con tanto di dati anagrafici con gli esatti riferimenti alla prima e alla seconda somministrazione del vaccino, dove e da chi è stata eseguita, con quale tipo di vaccino, un documento da conservare nel tempo, da aggiornare negli anni, qualora diventi necessario, e da esibire ad ogni occorrenza.
Una tessera che è anche un promemoria sulle scadenze da osservare magari con annotazioni sanitarie per i soggetti che necessitano di qualche attenzione supplementare. Chissà perché ma, fino ad ora, non se ne è affatto parlato. E’ impensabile che nessuno, tra le tante teste specializzate, che nessuno alla Protezione Civile, nello staff del commissario Arcuri, tra epidemiologi, virologi, infettivologi, statistici, burocrati generici o addetti a mansioni superiori non si sia applicato a rispondere all’interrogativo dell’ampia funzionalità di una tessera da consegnare al cittadino-utente-paziente al posto di un foglietto volante, uno dei tanti di cui occorre dotarsi anche solo per uscire di casa nei giorni della zona rossa.
Inoltre, più avanti nel tempo, i vaccinati potrebbero forse avere qualche vantaggio: per esempio l’accesso allo stadio, ad eventi con molto pubblico, al cinema, a teatro. E’ forse la burocrazia, già con le palle di piombo ai piedi, a frenare la fioritura di questa primula, da inserire tra quelle che ornano i gazebo in allestimento per il via alla colossale campagna di profilassi?
O la tessera è nelle intenzioni ma l’organizzazione generale è già troppo complicata? Certo, constatare che mancano 13 mila professionisti tra medici e infermieri ricercati attraverso un bando che scade il 28 dicembre, cioè oggi, ed è stato lanciato dieci giorni fa quando da un anno si attendeva con ansia l’arrivo del vaccino, autorizza qualsiasi ancorché temeraria supposizione.
In un Paese dove è giustamente obbligatorio (anche se spesso ritenuto facoltativo) perfino lo scontrino per un caffè e dove non si può salire su nessun treno se si è privi di un biglietto con tanto di prenotazione, lascia perplessi questo elementare vuoto di pianificazione.
L’ultima tessera di cui si ha memoria è quella esibita da Luigi Di Maio, all’epoca bi-ministro dello Sviluppo e del Lavoro, nel giorno della consacrazione del Reddito di Cittadinanza: un rettangolino di plastica giallo trattato come una reliquia, conservato in un’ampia campana di vetro a sua volta coperta da un drappo di velluto rosso, da strappare via come si fa per le opere d’arte o per le lapidi alla memoria.
La poco esaltante storia di quella tessera, si dice con una punta di malignità, è forse all’origine del sordo silenzio intorno a quella vaccinale.
Che non se ne faccia niente va comunque benissimo se il rischio è quello di aggiungere un’ulteriore incombenza a chi deve vaccinare gli italiani.
La luce in fondo al tunnel da tutti intravista subirà purtroppo diversi inciampi, com’è accaduto tante volte fin qui.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 30 Dicembre 2020, 14:34
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