De Pedis, il boss dei misteri di Roma ucciso trent’anni fa
di Cristiana Mangani
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Quella mattina, però, per lui era suonata la campana a morto. Stava cercando di tagliare i ponti con il passato, Enrico De Pedis, detto Renatino. E quella moto di grossa cilindrata arrivata senza preoccuparsi del rumore, forse un po’ se l’aspettava: due, tre colpi, una raffica di proiettili. Non c’è scampo per il boss dei mille misteri. Sbanda con il suo motorino e finisce a faccia in giù. Ci vorrà parecchio tempo prima di scoprire che a bordo della moto c’erano Marcello Colafigli, detto “Marcellone”, seduto sul sedile posteriore. E alla guida, Antonio D’Inzillo, il giovanissimo neofascista, deceduto diversi anni fa per una epatite fulminante, mentre aveva trovato rifugio in Sud Africa.
LA FAMIGLIA
De Pedis era nato il 5 maggio del 1954 a Trastevere. Non beveva, non si drogava, non sperperava il denaro. Nella stessa zone risiede ancora oggi il resto della sua famiglia: i fratelli gestiscono dei ristoranti molto conosciuti. Il terreno di conquista, però, era Testaccio, dove era cresciuto e dove lo legava una profonda amicizia con Raffaele Pernasetti, “er Palletta” (oggi cuoco). Gestiva il racket, le rapine e gli scippi anche nel centro storico della città, ed era finito in carcere la prima volta a soli venti anni. Nel ‘77 la seconda, insieme con “Zanzarone”, al secolo Alessandro D’Ortenzi. E fu un bene per lui quell’arresto, perché è riuscito a evitare l’incriminazione per il rapimento del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, preso in ostaggio e ucciso, che, però, aveva portato nelle “casse” della banda due miliardi di lire di riscatto. Il bottino necessario ad aprire la porta alla conquista della città.
È bastato un attimo al Dandy per arrivare ai vertici del crimine romano. Grazie anche alla morte violenta dei concorrenti, Franco Giuseppucci e Daniele Abbruciati. Renatino sapeva entrare nei consessi giusti: dalla politica ai salotti buoni. Ed è durante quella scalata che potrebbe aver commesso un errore, almeno secondo “la verità” raccontata su di lui molti anni dopo da Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano e amante di De Pedis per tantissimo tempo: la gestione operativa del sequestro di Emanuela Orlandi, la figlia sedicenne di un messo pontificio mai ritornata a casa. A convincerlo ad organizzare il rapimento sarebbe stato l’allora capo dello Ior, monsignor Marcinkus. La fine della ragazza, secondo Minardi, sarebbe stata terribile e il corpo sarebbe finito in una betoniera sul litorale romano. Accuse che non hanno mai trovato un vero riscontro.
LA SEPOLTURA
Anni dopo, per le insistenze della donna che ancora oggi è fedele alla sua memoria, Carla Di Giovanni, sposata con un matrimonio sfarzoso nell’88, la bara del boss della Magliana è stata tumulata all’interno della Basilica di sant’Apollinare con dei diamanti intarsiati nel legno. A firmare il nullaosta per la sepoltura in quel luogo sacro tra nobili e prelati, è stato il cardinale Ugo Poletti in persona, all’epoca presidente della Cei e vicario della diocesi di Roma. «Era un benefattore», aveva giustificato la decisione don Vergari, il rettore della chiesa. Ma si è sempre sospettato che, dietro la decisione, ci fosse un ricatto al Vaticano. Solo dopo molti anni e molte indagini anche nel luogo sacro, la bara è stata spostata a Prima Porta, in seguito i resti sono stati cremati e dispersi in mare.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 3 Febbraio 2020, 00:52
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