Nannicini, in realtà, è stato anche più esplicito. Un intervento per anticipare il pensionamento (l’età da quest’anno sale a 66 anni e 7 mesi), costerebbe tra i 5 e i 7 miliardi di euro l’anno. Risorse non facili da trovare, anche considerando che la prossima manovra dovrà anche disinnescare 15 miliardi di aumenti automatici di Iva e accise, e altri 7-8 miliardi per riportare in linea il deficit strutturale nel caso in cui l’Unione europea non concedesse altri margini di flessibilità sul deficit. Al netto della questione risorse, Nannicini ha anche ribadito che tutte le ipotesi di intervento sulle età di pensionamento prevedono «delle penalizzazioni» degli assegni. Chi vorrà ritirarsi anticipatamente dal lavoro, ha sottolineato, si dovrà necessariamente accontentare di un assegno ridotto.
LE SOLUZIONI
Tecnicamente le soluzioni comunque non mancano.
Altra strada, anche questa da tempo all’esame del governo, è quella indicata in un progetto di legge firmato da Cesare Damiano e dall’attuale sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta. Prevede la possibilità di anticipare la pensione fino a 62 anni accettando un taglio dell’assegno del 2% per ogni anno di anticipo. Lasciare il lavoro a 62 anni, dunque, comporterebbe una penalizzazione dell’8%. Altra variante, pure esaminate nei mesi scorsi, sono il prestito pensionistico, per cui l’azienda paga una pensione anticipata al lavoratore sotto forma di prestito, che poi quest’ultimo restituisce a rate sul suo futuro assegno Inps. In realtà, oltre alle pensioni, ieri Nannicini, che ha smentito qualsiasi intervento sulle reversibilità, ha annunciato un’altra importante novità.
La strada che il governo ha in mente per un atterraggio morbido dalla decontribuzione per i neo assunti che ha affiancato il jobs act. Già con l’ultima legge di Stabilità è stato introdotto un decalage che riduce lo sgravio fino ad azzerarlo il prossimo anno. Una volta terminata la misura, ha spiegato Nannicini, potrebbe essere sostituita con un’altra, un taglio dei contributi per tutti i lavoratori. Una sforbiciata del cuneo fiscale che, secondo alcuni, potrebbe arrivare fino a 6 punti. Il problema è che meno contributi, se da un lato significano stipendi più alti o costo del lavoro più basso, dall’altro significano anche pensioni ridotte. Come ovviare a questo problema? I contributi mancanti verrebbero in parte sostituiti, ha spiegato Nannicini, con versamenti figurativi da parte dello Stato (una fiscalizzazione), e dall’altro una parte della decontribuzione andrebbe a finanziare la previdenza complementare, fornendo i futuri pensionati di un assegno integrativo. Leggi l'articolo completo su
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