Quale la prima preoccupazione nella guida di una scuola così grande?
«La sicurezza. Dei ragazzi, anzitutto. Gran parte dei quali passano ore anche in cucina. E poi quella dell'intera comunità. Ma siamo bravissimi: nelle prove d'evacuazione dello stabile che facciamo due volte l'anno, liberiamo 6 piani in 9 minuti».
E i rapporti con i 370 docenti?
«Il segreto sta nel vivere la scuola nel quotidiano, non rimanere ostaggio dell'ufficio di presidenza, ascoltare i professori il più possibile. Il primo giorno ho fatto il giro di tutte 120 le classi per augurare buon anno».
Ci sono anche 120 persone che provvedono alla burocrazia e ai problemi logistici.
«C'è l'amministrazione, il protocollo e ben due uffici magazzino, perché qui bisogna pensare alle derrate alimentari che servono alla cucina».
Per le assemblee cosa fate: affittate un palasport?
«Sarebbe utile visto che l'aula magna può ospitare 250 persone. Confidiamo invece nella benevolenza di un parroco amico che ci mette a disposizione qui vicino il campetto di calcio della chiesa e lì fino a 600/700 ragazzi ci stanno».
In cosa si differenziano i corsi?
«Sono tre: enogastronomia (con annessa pasticceria), sala e accoglienza».
Immagino il boom del primo corso dopo che in tv, ormai, quando s'accende una telecamera in contemporanea si accende un fornello.
«È così, lo sceglie circa l'80% degli studenti, poi a ruota seguono sala e accoglienza anche se essere un bravo barman o un affabile portiere d'albergo non è da meno che indossare il cappello da chef».
Il mercato del lavoro come risponde ai diplomati?
«Nonostante una certa saturazione, bene. Le richieste arrivano, per la maggior parte dall'estero».
Confessi: nostalgia d'entrare in aula?
«Mi manca la cattedra, inutile negarlo, il contatto diretto coi ragazzi. Ma il preside non è un pianeta a sé: soprattutto non deve mai dimenticare di esserlo stato, un insegnante».
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