Al cinema da ieri - nell’anniversario della strage di Capaci - e in concorso a Cannes, dove è stato accolto con 13 minuti di applausi, Il traditore affronta questa biografia fuori dal comune da una prospettiva piuttosto inedita per il regista: «La mia vita privata, apparentemente, è del tutto estranea a questa storia, a Palermo, ai morti ammazzati. La mia preoccupazione era quella di non fare un film convenzionale, ma era necessario che questo fosse un racconto popolare».
Obiettivo raggiunto, ma senza voltare le spalle a una poetica fatta di fughe visionarie e legami familiari incandescenti. Perché questo Traditore sente di aver tradito, più di tutti, i suoi figli. «Ciò che sappiamo di Buscetta è ciò che lui voleva sapessimo. Buscetta era un fine stratega della comunicazione», ha detto Favino, che per il ruolo ha preso 9 chili, «perché il fisico rimanda a una ruralità della mafia poco raccontata». Incarnandone con intensità straordinaria il fascino e l’ambiguità, la ferocia criminale e l’amore familiare, con picchi altissimi nei duetti che si consumano tra lui e Fausto Russo Alesi (Giovanni Falcone) e Fabrizio Ferracane (Pippo Calò), e in molte sequenze che si consumano in quel teatro che è il maxi processo, l’attore si candida per un premio sulla Croisette. «Condivido con lui il romanticismo, un certo idealismo e l’amore per la famiglia - ha detto Favino - Mi sono domandato a cosa credere: di sicuro non credo alla sua amicizia con Falcone, anzi penso che il giudice sia stato l’unico capace di manipolarlo. Tra loro non c’era amicizia, ma rispetto siciliano».
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