Come già annunciato alla fine dello scorso anno, Unicredit ha ufficializzato il piano degli esuberi che riguarda l'Italia, tramite una lettera che avvia la procedura di confronto con i sindacati. Nell'arco del periodo 2020-2023 saranno 450 le filiali costrette a chiudere, mentre gli esuberi si attesteranno sulle seimila unità.
Alla base dei tagli apportati ci sarebbe l'intenzione di aumentare la digitalizzazione della banca. Infatti, a fronte di un costante aumento di clienti che adoperano esclusivamente i canali internet o telefonici, le operazioni svolte in filiale sono diminuite del 55% negli ultimi anni.
Il confronto partirà il prossimo venerdì 14 febbraio e la direzione ha fatto sapere che intende cercare entro e non oltre il limite del primo trimestre 2020 soluzioni condivise idonee ad attenuare per quanto possibile le ricadute sociali del nuovo piano sui lavoratori.
Non si è fatta attendere la risposta contraria dei sindacati. Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni ha accusato l'amministratore delegato Jean Pierre Mustier di aver presentato «un piano a scatola chiusa» con dei numeri «già cristallizzati», mentre Riccardo Colombani -segretario generale di First Cis- ha ribadito l'indisponibilità a trattare sugli esuberi se non si parlerà anche di nuove assunzioni».
L'annuncio dell'avvio della procedura ha avuto la sua risonanza anche nel mondo politico. Il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Nunzia Catalfo ha fatto sapere tramite una nota di aver convocato i vertici di Unicredit per venerdì 21 febbraio. Il leader della Lega Matteo Salvini ha invece commentato: «Mentre il governo litiga su tutto, Unicredit annuncia il licenziamento di 6.000 lavoratori. Prima l'Italia tornerà ad avere un governo serio e compatto, prima l'economia tornerà a crescere».
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