La vostra amica, che poi sarei io, ama le parole tanto quanto il Sassicaia barrique, forse anche un filino di più, perciò se la scorsa settimana ho deciso di intrattenervi a suon di carte francesi oggi opterò per un più colorito termine gergale: la scuffia.
Benché io sia tutt'altro che appassionata di regate devo partire dall'accezione originale del verbo scuffiare che nell'ambito velico si usa per intendere il capovolgimento della barca. A Roma, per chi non fosse pratico, quando si parla di vela solitamente si intende lo scrocco e il velista è colui (o colei, declinando al femminile) che frequentemente si esime dall'atto del pagare, ma la scuffia è un'altra cosa.
Quando infatti la vela del cuore si gonfia assai, l'albero maestro della ragione inizia ad oscillare talmente tanto che basta una raffica più forte e si va giù, testa dentro l'acqua. È esattamente quel che accade quando incontri qualcuno che ti piace proprio tanto e inevitabilmente, nell'impossibilità di utilizzare locuzione migliore e maggiormente esplicativa, dici queste parole, testuali: ho preso na scuffia che lèvate. Dove il lèvate, con accento rigorosamente sulla prima e, significa togliti ed è accompagnato da un movimento della mano verso l'esterno assolutamente inconfondibile. Oggi vi chiedo uno sforzo in più però, mi raccontate quale è stata la vostra scuffia?
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