Flaminia Bolzan su Leggo: «Parliamo di scuffia»

Flaminia Bolzan su Leggo: «Parliamo di scuffia»

di Flaminia Bolzan

La vostra amica, che poi sarei io, ama le parole tanto quanto il Sassicaia barrique, forse anche un filino di più, perciò se la scorsa settimana ho deciso di intrattenervi a suon di carte francesi oggi opterò per un più colorito termine gergale: la scuffia.

Benché io sia tutt'altro che appassionata di regate devo partire dall'accezione originale del verbo scuffiare che nell'ambito velico si usa per intendere il capovolgimento della barca. A Roma, per chi non fosse pratico, quando si parla di vela solitamente si intende lo scrocco e il velista è colui (o colei, declinando al femminile) che frequentemente si esime dall'atto del pagare, ma la scuffia è un'altra cosa.

Quando infatti la vela del cuore si gonfia assai, l'albero maestro della ragione inizia ad oscillare talmente tanto che basta una raffica più forte e si va giù, testa dentro l'acqua. È esattamente quel che accade quando incontri qualcuno che ti piace proprio tanto e inevitabilmente, nell'impossibilità di utilizzare locuzione migliore e maggiormente esplicativa, dici queste parole, testuali: ho preso na scuffia che lèvate.

Dove il lèvate, con accento rigorosamente sulla prima e, significa togliti ed è accompagnato da un movimento della mano verso l'esterno assolutamente inconfondibile. Oggi vi chiedo uno sforzo in più però, mi raccontate quale è stata la vostra scuffia?


Ultimo aggiornamento: Venerdì 1 Aprile 2022, 12:03
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