Aborto, un diritto ostacolato

 

C’è una vera bufera in queste ore negli Stati Uniti. La Corte Suprema, infatti, ha deciso di restringere l’accesso all’aborto in tutto il paese.

A livello federale - cioè in tutti gli Stati Uniti - è dal 1973 che l’interruzione volontaria di gravidanza è legale, grazie a una storica sentenza, ma non esiste una legge unica che stabilisce le modalità. Così, da anni, seppure consentito, l’aborto è di fatto estremamente limitato in molti stati governati dai repubblicani.

Noi per fortuna una legge la abbiamo: è la 194, confermata da milioni di persone con lo storico referendum del 1981. Prima di allora, una donna che decideva di abortire rischiava fino a quattro anni di carcere. A livello di diritto, siamo quindi più strutturati degli Stati uniti. Eppure, in Italia, il diritto all’aborto è un diritto ostacolato, in tanti modi.

Anzitutto, la percentuale di ginecologi obiettori supera il 70% in quasi la metà delle regioni. Molte donne sono quindi costrette a spostarsi per poter abortire perché nella loro provincia di residenza i tempi di attesa sono troppo lunghi. Altre donne non vengono informate adeguatamente sui loro diritti, altre ancora vengono invitate a rivolgersi a centri privati. In molti casi, il tempo passa e diventa impossibile accedere all’interruzione di gravidanza entro il limite legale di 90 giorni. Così alcune – quelle che possono permetterselo – per abortire vanno all’estero.

Diciamo sempre “la legge 194 non si tocca”. Forse invece è arrivato il momento di riformularla questa legge così preziosa, perché sia applicata meglio.

 

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Giornalista, autrice e conduttrice tv. Da anni realizza reportage di approfondimento su ambiente, sostenibilità e temi sociali. L'argomento che più la appassiona è la parità di genere. E' mamma di due bambini.

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