Non c’è dubbio che «Putin non avrà rivali alle prossime elezioni» come dichiarava il portavoce del Cremlino Peskov a fine ottobre. Eppure, con l’inquietante morte dell’oppositore politico che più ha galvanizzato l’opinione pubblica russa negli ultimi anni, il presidente segnala di avere costantemente bisogno di lanciare segnali intimidatori ai nemici, percepiti o reali che siano. Aver accentrato il potere su di sé negli ultimi anni non basta, anzi. Tanto più è solo al comando, quanto più Vladimir Vladimirovič sembra terrorizzato dalla possibile presenza di quinte colonne interne, al punto da dover eliminare anche un dissidente già silenziato e confinato in un carcere nell’Artico. Navalny aveva sfidato il presidente tornando in Russia, pur sapendo che sarebbe stato incarcerato, e questo a quanto pare è bastato per minacciare il capo del Cremlino. Del resto, la repressione delle voci critiche ha attraversato tutti i 23 anni di governo di Putin benché il modus operandi nel silenziare il dissenso sia cambiato . Quanto palesa la profonda vulnerabilità di una leadership che, evidentemente, non si sente davvero tale. E che ora si deve misurare con una nuova tornata elettorale. Ma il confronto con altri candidati sarà certamente una farsa.
Navalny, il dissidente russo Khodorkovsky: «Vladimir Putin è senza alcun dubbio responsabile»
CASI ECLATANTI
L’ultimo (o penultimo) caso più eclatante, quello di un ex amico diventato nemico, è stato Evgenij Prigozhin, capo della compagnia mercenaria Wagner e reo di “tradimento” dopo la fallita marcia su Mosca contro i vertici della Difesa nel giugno 2023, morto due mesi dopo per lo schianto del suo jet privato. Risalendo indietro nel tempo, però, i primi omicidi politici riconducibili al Cremlino seguivano tutt’altro stile. Tanti i misteri. Il deputato liberale Sergei Yushenkov fu ucciso ad aprile del 2003 con un singolo colpo di pistola al petto poco dopo aver registrato il suo partito politico per partecipare alle elezioni parlamentari del 2003. Anni prima Yushenkov denunciava il bombardamento di alcuni edifici residenziali a Mosca come parte di un presunto golpe organizzato dai servizi segreti per portare al potere Putin, allora ex agente del Kgb, e giustificare così l’aggressione contro la Cecenia. Molti politici, compresi esponenti del Partito comunista, accusarono Putin di essere il mandante. Nel 2004, Paul Klebnikov, redattore capo dell’edizione russa di Forbes fu ucciso in una sparatoria contro la sua auto, in un apparente omicidio su commissione che, secondo il Committee to Protect Journalists, è riconducibile all’oligarca Boris Berezovsky, alleato di Putin, cofondatore del suo partito Russia unita e definito dallo stesso Klebnikov «padrino del Cremlino».
GLI ARRESTI
Chi fra gli oppositori è ancora vivo, si trova in prigione o è stato costretto all’esilio. Finito più volte dietro le sbarre, ad esempio, è Ilya Yashin, ex consigliere di un municipio di Mosca. O Vladimir Kara-Murza, giornalista e attivista, vittima per due volte di avvelenamento e ora condannato a 25 anni di carcere per le sue critiche all’invasione russa dell’Ucraina. In esilio, invece, gravita una galassia di oppositori spesso in lotta fra loro per la leadership del dopo-Putin. Come Denis Kapustin, attivista neonazista e capo del Corpo dei Volontari russi, e Il’ja Ponomarev, capo politico della legione Freedom of Russia, due unità militari russe che combattono in Ucraina a fianco di Kiev. O Mikhail Khodorkovsky, imprenditore e oligarca ora a Londra, e Maxim Galkin, noto comico e showman ora in Israele. Già il voto plebiscitario che Putin facilmente otterrà il 17 marzo avrebbe segnalato ai potenziali infedeli dentro le élite che è inutile mettersi contro di lui. Evidentemente, però, non bastava.
Ultimo aggiornamento: Domenica 18 Febbraio 2024, 13:48
© RIPRODUZIONE RISERVATA