Pizza e camorra, sequestrata la pizzeria «dal Presidente»: finanziava il clan. La "protezione" dei malavitosi in cambio degli incassi

Cinque persone in manette, sotto sigilli beni per tre milioni di euro e nel mirino la società che gestisce il locale del centro storico

Pizza e camorra, sequestrata la pizzeria «dal Presidente»: finanziava il clan. La "protezione" dei malavitosi in cambio degli incassi

di Redazione web

Pizza e camorra. Gli incassi di un ristorante utilizzati per finanziare il clan Contini e mantenere i detenuti, ma anche per creare un'attività di panificazione. Cinque persone in manette, sotto sigilli beni per tre milioni di euro e nel mirino la società che gestisce la notissima pizzeria del centro storico di Napoli «dal Presidente», che si trova in via dei Tribunali.

L'operazione è stata condotta dai militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e con la Squadra Mobile della Questura di Napoli, che hanno eseguito un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali emessa dal Gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di cinque persone (tre in carcere e due agli arresti domiciliari) gravemente indiziati dei reati di trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità agevolativa dell’organizzazione camorristica denominata clan Contini. La pizzeria è stata sequestrata dai finanzieri insieme con altri beni. 

L’attività investigativa avrebbe permesso di accertare l’intestazione fittizia di due società nel settore della ristorazione e panificazione per agevolare il raggiungimento delle finalità illecite del sodalizio e per il sostentamento dei detenuti e delle rispettive famiglie, si legge in una nota della Procura guidata da Nicola Gratteri.

La "protezione" alla pizzeria

La pizzeria «Dal presidente», chiamata così perché aperta dal pizzaiolo che preparò la pizza all'allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, si trova in uno dei due decumani del capoluogo partenopeo, meta turistica tra le più frequentate in città. Il locale sarebbe stato acquistato grazie all’apporto economico e alla “protezione” fornita da un esponente di spicco del clan, alla cui famiglia sarebbe stata destinata una parte dei relativi incassi anche dopo la sua detenzione conseguente a una condanna per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Le risultanze investigative e dei social network avrebbero permesso di stabilire che la società era gestita, di fatto, dal cognato del detenuto, anch'egli gravato da numerosi precedenti penali, il quale si sarebbe poi affrancato dalla joint venture criminale avviando una nuova attività nel campo della vendita di prodotti da forno.

Le indagini, corroborate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, avrebbero consentito di appurare anche la fittizia intestazione di un'impresa individuale operante nel settore dei servizi turistici, che il precedente titolare sarebbe stato costretto a dismettere con minacce, percosse e intimidazioni, e di sette immobili di pregio siti nel capoluogo partenopeo.

Gli indagati avrebbero reimpiegato nelle società di ristorazione e panificazione e nell'acquisto di beni immobili ben 412.435 euro versati in contanti con reiterate operazioni sui conti societari e personali. Il denaro è stato sequestrato oggi insieme con le quote delle società, l'impresa individuale e gli immobili intestati a prestanome: il valore complessivo è stato stimato in oltre 3,5 milioni di euro. 

Gli arrestati

Tra i cinque arrestati c'è Massimiliano Di Caprio, 50 anni, direttore della pizzeria, e un poliziotto, oggi in servizio alla stradale di Avellino. Di Caprio, nel luglio del 2022, è finito nella bufera per un commento omofobo pubblicato su Instagram da lui definito «solo uno sfogo». Il post lo trasformò nel giro di poche ore in un bersaglio, con da centinaia di repliche via social anche di boicottare la sua attività con recensioni negative. Di Caprio pubblicò una storia su Instagram (da tempo rimossa) in cui tra l'altro si leggeva: «Non me ne f....te di consensi e di avere più clienti, o di candidarmi in politica per avere voti e fare soldi. Io sono un uomo e non voglio offendere la legge di Gesù Cristo, che ha creato uomo e donna». 

Al poliziotto arrestato viene contestata l'intestazione fittizia di una società per la produzione e vendita di prodotti da forno: avrebbe dato un apporto economico, circa 20mila euro, per avviare il panificio sequestrato dai finanzieri del Gico e avrebbe aiutato a risolvere tutte le questioni amministrative inerenti ai permessi e alle autorizzazioni per l'avvio dell'attività. Inoltre è risultato uno dei gestori occulti del panificio.

Insieme con il poliziotto e con Massimiliano Di Caprio è stato arrestato anche Vincenzo Capozzoli, 49 anni, ritenuto legato al clan Contini e cognato di Di Caprio. In arresto anche la moglie di Di Caprio, una 46enne risultata essere la titolare della società che gestisce la pizzeria e una commercialista napoletana di 62 anni. Per Capozzoli, Di Caprio e la moglie di quest'ultimo, è stata disposta la misura cautelare del carcere. Domiciliari, invece, per il poliziotto e la professionista.


Ultimo aggiornamento: Martedì 14 Maggio 2024, 13:18
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