Enzo Avitabile, il nuovo disco è un “Treno dell'anima”: «E in carrozza ho fatto salire tanti amici musicisti»

Enzo Avitabile, il nuovo disco è un “Treno dell'anima”: «E in carrozza ho fatto salire tanti amici musicisti»

di Totò Rizzo

Se la vita è l’arte dell’incontro, la musica spesso fa da ruffiana. Enzo Avitabile, che il 16 settembre esce con il nuovo disco, «Il treno dell’anima», racconta: «Con gli artisti con cui ho collaborato sono nate grandi amicizie ancora prima che rapporti professionali. Per esempio: Tina Turner mi ha avvicinato al buddismo. E ci siano regalati reciprocamente vita e sapere anche con James Brown, Pino Daniele, Randy Crawford, Khaled e con tutti gli altri».

Gran parte delle undici tracce de «Il treno dell’anima» è fatta per l’appunto, ancora una volta, da incontri di cuori e di note. È un disco talmente energetico che il 67enne musicista napoletano pare ne abbia 30 di meno e si ascolta tutto d’un fiato come ormai quasi nessun album si ascolta più.

Avitabile, ci sono dentro tutti i mondi sonori che ha visitato: soul, jazz, pop, afro, tradizione partenopea, colonne sonore.

«È un disco libero, coraggioso, non rientra nei ranghi, lo rivendico con fierezza. Il consumo della musica è cambiato: inutile crogiolarsi nella nostalgia (il vecchio vinile, il negozio dei dischi, l’oggetto, il luogo fisico) però bisogna darsi da fare per essere riconoscibili. È vero, in questo disco c’è un’alternanza di esperienze fatte in quasi mezzo secolo».

Una parola per ognuno dei compagni di viaggio saliti su questo suo “Treno”.

«Ligabue ha una sensibilità unica, canta da Dio il brano, e poi gli emiliani, si sa, hanno molta passione dentro; Edoardo Bennato è sempre agitato da un’inquietudine rock, alla continua ricerca di cose nuove che possano stimolarne la curiosità; Biagio Antonacci è dolce ed elegante, gli ho accennato la mia idea, dopo tre giorni mi ha telefonato, era già pronto, ci aveva lavorato su; Giuliano Sangiorgi m’ha fatto entrare nel groove dei Negramaro ed è stata un’esperienza fantastica; Jovanotti è curioso ed eclettico, mi ha trascinato nel suo Jova Beach Party, uh Marònna,, un’iradiddio e poi scrive un mare di cose, butta giù ogni idea che gli passa pa’ capa; Guè è un artista in continua evoluzione, merita tutto il successo che ha; Speranza è la rivoluzione, un nuovo Masaniello, ha una forza che forse nemmeno lui conosce, uno che scuote e innalza la coscienza, è il vero rapper “sociale”; Rocco Hunt è un outsider, “Rocchino” è un vero un Re Mida, tutto quello che tocca si trasforma in oro; la forza dei Boomdabash è la loro identità, fortissima».

Molti rapper, la scuola napoletana va forte.

«E cresce.

Sono stato il primo a portare Afrika Bambaataa nel 1984 a cantare a Scampia. Abbiamo seminato bene- L’importante poi è seguire il proprio istinto, affinare il proprio talento. Nell’arte, quella autentica, ci sono riferimenti, modelli ma nessuno è mai figlio a nessuno».

Come sta la musica italiana?

«Mancano i progetti, ci sono percorsi prestabiliti. Molto contenitore, poco contenuto. La discografia e le piattaforme non aiutano».

Un’eccezione in cui le due cose convergono?

«Blanco, è bello e canta anche bene. Che Dio lo benedica. E alla Notte della Taranta ho anche ascoltato Mahmood che ha fatto un pezzo che mi ha fatto venire la pelle d’oca».

Lei che si è formato negli anni in cui la gavetta era dura, pensa che i talent siano davvero le nuove officine del talento?

«Qualche artista interessante può anche venir fuori ma la stragrande maggioranza è fatta di “tòrtani” come diciamo noi a Napoli (gente di scarso spessore, ndr.)»

Con Pino Daniele fin da “Terra mia” del 1977, poi lui cantò nel suo “Black tarantella” del 2012.

«Appunto, dal suo primo disco, 45 anni fa, dove io ero ai fiati fino alla sua partecipazione a quel mio progetto. Pino è e resterà un rimpianto costante, chissà cosa avrebbe ancora potuto fare».

Il segreto di una carriera lunga come la sua?

«Fare musica non è fare a gara a chi è più bravo. È chiedersi: cosa posso portare di mio nel mondo? Io stasera sono a Copenaghen e domani a Rionero del Vulture, dopodomani a Londra e la sera dopo a San Giovanni a Teduccio. Se non porto niente di mio che ci vado a fa’?».

Come quello strano strumento metà sax e metà ciaramella che si fece costruire tanti anni fa?

«Ecco, per l’appunto, con quello ho girato il mondo, mi ha aiutato a essere riconoscibile».

Mai usato l’autotune?

«Ribadisco il concetto: a che serve fare i nostalgici e demonizzare tutto ciò che di nuovo ci viene proposto, che ci può venire incontro? Viva l’autotune se serve a creare qualcosa di originale, se è utilizzato a quello scopo. Abbasso l’autotune se è utile soltanto a nascondere le magagne, se sei stonato: allora me vuo’ sulo ‘mbruglia’».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 9 Settembre 2022, 08:58
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