I 'padroni di Roma' ne ignorano la storia.
Il pezzo di Fortunato Cerlino per Leggo -Foto
di Fortunato Cerlino
Il giorno dopo, in una calda e piacevole domenica trascorsa a mangiare rigorosamente porchetta, con vino dei castelli, in località Ariccia, ecco quello che Alessandro mi ha raccontato: «Nell’antica Roma il termine “identità” nemmeno esisteva: la parola identitas viene coniata nel IV secolo dell’èra volgare all’interno del dibattito teologico sulla natura del Nazareno.
Tutto è fluido, nel mondo romano, non esiste una questione etnica o razziale, come per esempio in Grecia, dove gli Ateniesi coltivavano il mito dell’autoctonia. A Roma no, l’Urbe fin dall’inizio è una forza comune, creatrice e ordinatrice, dei popoli italici e dei discendenti del troiano Enea (a sua volta erede di un lignaggio proto-italico). Non voglio dire che non esistesse il concetto di “diversità” o “alterità”, ma si armonizzava facilmente all’interno dell’universalismo romano. Per gli stranieri, i peregrini, bastava accettare la sacralità di Roma e delle sue divinità, a cominciare da Giove Capitolino ma senza per questo dover rinnegare le proprie divinità originarie, rispettare la legge (il mos maiorum) e la maestà del Senato.
Nessuna discriminazione biologica, nessuna chiusura, patti chiari fondati sul diritto romano. In questo Roma s’avvicina all’insegnamento omerico: mendicanti e stranieri sono mandati da Zeus. Doveroso accoglierli, pena l’accusa di empietà, piena disponibilità a integrarli purché si mostrino leali e ben costumati: in un certo senso già romani.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 25 Maggio 2016, 10:32
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