Uccise la moglie con 68 coltellate: romeno suicida in carcere a Venezia. Si è impiccato nella sua cella

Il 35enne è stato trovato morto impiccato alle sbarre della sua cella

Uccise la moglie con 68 coltellate: romeno suicida in carcere a Venezia. Si è impiccato nella sua cella

di Redazione Web

Si è ucciso in carcere, dopo il delitto che aveva commesso lo scorso settembre. Il detenuto romeno di 35 anni, Alexandru Ianosi, aveva tolto la vita la moglie con 68 coltellate. Ha deciso di porre fine alla sua esistenza impiccandosi, nella cella di Santa Maria Maggiore a Venezia. A comunicarlo è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Si tratta del secondo suicidio nel giro di poco tempo nel carcere di Venezia.

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L'uomo era accusato di omicidio aggravato dai maltrattamenti. Era geloso della moglie, Lilia Patranjel, che vessava e offendeva, accusandola di non essere capace di fare la madre, la limitava nelle sue uscite, la minacciava di morte anche con un coltello dicendole «che l’avrebbe fatta a pezzi e rimandata in patria». Poi tutto è degenerato.

La sera del 22 settembre del 2022, Lilia aveva preso il coraggio a due mani per dire al suo compagno che l’avrebbe lasciato, stanca delle violenze che lei aveva denunciato, salvo poi ritirare la querela e bloccare l’iter giudiziario. L’uomo aveva reagito con violenza scagliandosi contro di lei con un coltello da cucina nel salotto del loro appartamento in via Mantegna.

Poi in cella la decisione di piantarsi un manico di scopa in un occhio per punirsi. E ora il gesto estremo.

Il suicidio

«Purtroppo il pur tempestivo intervento dell’Agente di servizio non è servito a salvare l’uomo», spiega Giovanni Vona, segretario nazionale del Triveneto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. «L’uomo è stato trovato impiccato alle sbarre della cella. Come sapete, abbiamo sempre detto che la morte di un detenuto è sempre una sconfitta per lo Stato».

Per Donato Capece, segretario generale del Sappe, «la via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Il suicidio di un detenuto - e dall’inizio dell’anno sono stati già 25, più un poliziotto che si è tolto la vita alcune settimane fa - rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti e sconforta che le autorità politiche, penitenziarie ministeriali e regionali, pur in presenza di inquietanti eventi critici, non assumano adeguati ed urgenti provvedimenti».

Capece si appella al Ministro Guardasigilli Carlo Nordio: «Chiedo al Ministro della Giustizia Carlo Nordio un netto cambio di passo sulle politiche penitenziarie del Paese. E’ necessario prevedere un nuovo modello custodiale. Tutti i giorni i poliziotti penitenziari devono fare i conti con le criticità e le problematiche che rendono sempre più difficoltoso lavorare nella prima linea delle sezioni delle detentive delle carceri, per adulti e minori. Mi riferisco alla necessità di nuove assunzioni nel Corpo di polizia penitenziaria, corsi di formazione e aggiornamento professionale, nuovi strumenti di operatività come il taser, kit anti-aggressioni, guanti antitaglio, telecamere portatili, promessi da mesi dai precedenti vertici ministeriali ma di cui non c’è traccia alcuna in periferia. Confidiamo dunque che ora si vedano finalmente fatti concreti».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 21 Giugno 2023, 23:06
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