Pensione, la generazione 1980 rischia di andarci dopo i 73 anni

Pensione, la generazione 1980 rischia di andarci dopo i 73 anni
Gli effetti congiunti delle riforme Dini e Fornero potrebbero avere conseguenze drammatiche su una generazione che ha cominciato a lavorare dal 1995 in poi, ritrovandosi integralmente nel sistema contributivo, e poi ha subito anche gli effetti della legge dell'ex ministra del governo Monti, che ha allungato l'età pensionabile. Si tratta di chi è nato dal 1980 in poi: una generazione che già subisce il dramma del precariato e di una disoccupazione giovanile elevata e che, dal momento che la maggioranza dei lavoratori italiani ha fino a 45 anni di età, vede la pensione come un autentico miraggio.



Questa generazione, attualmente, avrà tre possibilità future per andare in pensione. La prima riguarda l'assegno di vecchiaia: calcoli alla mano, serviranno 20 anni di contributi e un'età minima di 69 anni e 5 mesi, ma anche aver maturato una pensione non inferiore a 1,5 volte l'assegno sociale (attualmente 640 euro netti). Per la pensione anticipata, i requisiti si fanno ovviamente più stringenti: si può smettere di lavorare tre anni prima, a 66 anni e 5 mesi, ma occorre aver maturato una pensione non inferiore a 2,8 volte l'assegno sociale (a oggi 1050 euro netti). Un'altra possibilità, specifica per chi non riesce a maturare quella cifra a causa di lunghi periodi di disoccupazioni e salari bassi, considerando gli adeguamenti automatici, porterà alla pensione addirittura a 73 anni e 5 mesi.

Il sistema previsto per la generazione post 1980 ovviamente favorisce i lavori più stabili e i salari più alti, penalizzando invece quelli precari e con bassi stipendi che saranno costretti alla pensione posticipata. Non finisce qui: per i nati dal 1980 non è più prevista l'integrazione al minimo, cioè il contributo statale per portare le pensioni più basse ad un importo base (oggi 502 euro al mese). Gli effetti sono potenzialmente drammatici, a Palazzo Chigi lo sanno tutti e qualcuno ha pensato anche di apportare modifiche alla legge Fornero. L'ipotesi, però, è molto rischiosa, come spiega Enrico Marro sul Corriere della Sera:
«Tutto ciò che abbiamo detto giustifica il fiorire di idee per rimettere mano alla riforma Fornero. Ma qui si entra in un terreno a rischio. La Fornero ha avuto infatti il merito di realizzare un serio aumento dell’età effettiva di pensionamento, ponendo fine all’eccessivo gradualismo della riforma Dini. Basti dire che nel ventennio 1997-2016, nel settore privato, sono state liquidate 3,4 milioni di pensioni di anzianità a lavoratori con età media di 57 anni e 9 mesi e 3,5 milioni di pensioni di vecchiaia a persone con età media di 63 anni. Solo dopo la Fornero le due età sono salite rispettivamente, nel 2016, a 60 anni e mezzo e a 66 anni e 4 mesi. Risultati rispetto ai quali sarebbe sbagliato tornare indietro. Così come va corretta la tesi che il calcolo contributivo realizzi sempre un taglio drammatico delle pensioni. Le elaborazioni della Ragioneria dello Stato mostrano che il tasso di sostituzione, cioè l’importo della pensione netta rispetto all’ultima retribuzione, non è inferiore nel contributivo rispetto al vecchio «retributivo», a parità di anni di contributi versati. Poiché i tassi di sostituzione del contributivo sono più che soddisfacenti per le carriere piene, si potrebbe concludere che basterebbe favorire le assunzioni stabili e un modello contrattuale che sostenga i salari e la produttività per risolvere i problemi. E questo va sicuramente fatto, dal governo e dalle parti sociali. Ma sappiamo anche che il mercato del lavoro è profondamente cambiato e che la rivoluzione Industria 4.0 potrebbe polarizzare ulteriormente l’occupazione, aumentando la distanza tra i lavori continui e ben pagati e quelli discontinui e poveri».



Per questo motivo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sta pensando ad altro in vista dell'incontro tra governo e sindacati di giovedì prossimo. Le trattative potrebbero riguardare la pensione minima di garanzia di 650 euro, a carico del contribuente e i contributi figurativi, a carico dello Stato, per i periodi di disoccupazione. Ma anche l'eliminazione delle soglie delle 1,5 e 2,8 volte del minimo necessario per accedere alla pensione e, probabilmente, redditi-ponte per i segmenti più deboli del lavoro. Una serie di misure volte a garantire maggiore equità, senza mettere mano alla legge Fornero; arrivare ad un accordo però non sembra poter essere qualcosa di semplice.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 24 Luglio 2017, 15:25
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