Papa Francesco pronto a incontrare Putin a Mosca pur di fermare la guerra: «A Kiev per adesso non vado»

Bergoglio: "Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso".

Papa Francesco pronto a incontrare Putin a Mosca per fermare la guerra: «A Kiev per ora non vado»

di Franca Giansoldati

Città del Vaticano – Papa Francesco l'ultima carta la cala improvvisamente: ha affidato al principale quotidiano italiano - il Corriere della Sera – un importante messaggio diretto al presidente Putin. Pur di fermare la guerra il pontefice si dice disposto a prendere un aereo e andare a Mosca ad implorare la fine dei massacri in Ucraina, una guerra ormai asimmetrica, in cui è chiaramente evidente la sproporzione delle forze. «Per ora a Kiev non vado» aggiunge. «Io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta...». 

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Il pontefice ha maturato pian piano la necessità di arrivare anche ad un passo umiliante, fuori dal protocollo, pur di far breccia nel cuore del leader del Cremlino. Da qualche parte si dovrà cominciare per riannodare i fili di un dialogo che sembra saltato sotto ogni punto di vista. Ad un tratto paragone la guera in corso a quella del Ruanda, cosa che implicitamente tira in ballo il tema del genocidio.

Già un mese fa, attraverso il cardinale Pietro Parolin, aveva inoltrato attraverso i canali diplomatici, una richiesta simile a Mosca, ma senza avere mai avuto un riscontro. Il Cremlino lo ha ignorato. Dopo 68 giorni di conflitto è chiaro che Francesco teme che il presidente russo non si voglia fermare alla conquista di Mariupol, e così ripete ancora una volta di desiderare fortemente un confronto con Putin. Nella lunga conversazione firmata dal direttore del quotidiano, Luciano Fontana, affiorano alcuni tasselli inediti. Per esempio che il primo giorno dell'attacco all'Ucraina da Santa Marta partì una telefonata al presidente Zelenski, e solo in seguito il Papa decise di recarsi all'ambasciata russa, in via della Conciliazione: «Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto: per favore fermatevi». Poi aggiunge: «Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato». Ribadisce che è necessario che il leader del Cremlino «conceda qualche finestrina» ma, aggiunge preoccupato: «Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento». Si dispera tanto nel vedere la brutalità dei militari russi, poi però bilancia e sottolinea che «l'abbaiare della Nato alla porta della Russia» ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. «Un’ira che non so dire se sia stata provocata — si interroga il Papa —, ma facilitata forse sì». Sul Donbass riconosce che vi sono state operazioni ucraine sanguinose ma una decina di anni fa. «Quell'argomento è vecchio». 

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Non si sbilancia nemmeno sulla moralità di fornire le armi a Kiev, e offre una risposta sibillina: «Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini». Cerca evidentemente di camminare sulle uova, è palpabile il timore di aggiungere una parola di troppo, quel che si capisce è la certezza di una escalation ormai imminente. «La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose». 

Quanto all'incontro con Kirill, il patriarca capo della Chiesa ortodossa russa, è slittato sine die. Avrebbe dovuto essere a Gerusalemme per il 14 giugno ma la deriva bellica ha preso il sopravvento anche sui rapporto ecumenici. «Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi». E ancora. «Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno».

Il colloquio termina con una rassegna di pessimismo. Dice di stare ora attenti «a quello che può accadere adesso nella Transnistria” e che “per la pace non c’è abbastanza volontà». «Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista, ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi». Di politica italiana, invece, non vuole parlare. Offre solo un assist al premier Draghi e alla sua posizione sulla Russia. «L’Italia sta facendo un buon lavoro. Il rapporto con Mario Draghi è buono, è molto buono. Già in passato, quando era alla Banca centrale europea, gli ho chiesto consiglio». 


Ultimo aggiornamento: Martedì 3 Maggio 2022, 16:37
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