Putin per tre volte ha detto “no” al Papa per i corridoi umanitari a Mariupol, sfumata l'idea di una nave con bandiera vaticana

Per tre volte la Russia ha fatto sapere al Vaticano che non avrebbe garantito nessuna via di sicurezza

Putin per tre volte ha detto “no” al Papa per i corridoi umanitari a Mariupol, sfumata l'idea di una nave con bandiera vaticana

di Franca Giansoldati

Città del Vaticano - In questi sessanta giorni di conflitto Papa Francesco ha cercato per ben tre volte di esercitare il suo peso di autorità morale sul Cremlino, inviando attraverso i canali diplomatici messaggi diretti a Mosca e facendo anche leva sul Patriarcato, nel tentativo di aiutare a realizzare un corridoio umanitario a Mariupol. Ma per tre volte la Russia ha fatto sapere al Vaticano che non avrebbe garantito nessuna via di sicurezza. Nell'ultimo tentativo, la scorsa settimana, si era persino accarezzatra l'idea, poi tramontata perchè piuttosto complicata da realizzare, di rendere disponibile un trasferimento dei civili intrappolati nelle acciaierie di Mariupol mediante una imbarcazione battente bandiera giallo-bianca, cioè quella della Santa Sede. Una ipotesi - secondo quanto apprende Il Messaggero - che sarebbe rimasta in piedi per qualche giorno e poi fatta cadere anche se, effettivamente, dal punto di vista logistico, sarebbe forse stato più semplice trasferire i civili visto che le acciaierie di Azofstal sono ubicate proprio sul porto di Mariupol.

Tutto naturalmente si è sviluppato nel silenzio e nella discrezione, come solitamente sono abituati a lavorare in Segreteria di Stato. Per il Vaticano sicuramente l'ennesima delusione, con il Papa che ha sperato fino all'ultimo di riuscire a garantire una via di fuga a civili stremati da due mesi costretti a sopravvivere come topi nel ventre ramificato delle acciaierie, una area vastissima utilizzata durante i bombardamenti come rifgio antiaereo e trasformatasi in una trappola. Al momento tra le circa mille persone (moltissimi civili) ci sono anche 15 bambini. L'acqua corrente non esiste più, hanno solo scorte di acqua demineralizzata, usata per i radiatori.

Nel frattempo il Nunzio a Kiev, monsignor Visvaldas Kulbokas, ha spiegato che sia nel primo che nel secondo tentativo di creare un corridoio umanitario verso zone sicure e controllate dagli ucraini  - «Non ci hanno dato garanzie»  - avrebbe dovuto essere coinvolto anche lui personalmente.  Verso la fine del mese di marzo, a seguito di diversi contatti con il Patriarcato di Mosca, un vescovo ortodosso, avrebbe dovuto facilitare l'operazione.

Monsignor Kulbokas e l'arcivescovo ortodosso avrebbero personalmente preso in carico la missione di recarsi a Mariupol, ma all'ultimo minuto qualcosa si è alterato e le autorità militari russe hanno risposto negativamente, facendo saltare il trasferimento. 

 

Il secondo tentativo doveva avvenire a cavallo del periodo di Pasqua. In questo caso il Papa avrebbe mandato a Mariupol il suo cardinale di fiducia per le missioni umanitarie, il polacco Konrad Kraiewski il quale si era reso disponibile avendo appena concluso positivamente il trasferimento di una autoambulanza da Roma a Kiev, un dono del Papa agli ospedali. A guidare l'autoambulanza per tutto il tragitto, passando per la Polonia, era stato lo stesso Kraiewski che aveva potuto verificare personalmente la possibilità di fare la stessa cosa per Mariupol, recandosi nella città martire. Le autorità russe, anche in questo caso, hanno fatto slittare la decisione e poi hanno riferito che non avrebbero garantito coperture umanitarie. "Niet". In assenza di garanzie il territorio diventa impraticabile e ovviamente pericolosissimo. 

Il cardinale Pietro Parolin proprio stamattina non nascondeva il proprio pessimismo sulla possibilità di riprendere i fili del dialogo e del negoziato tra Russia e Ucraina. Un pessimo segnale. «Sono pessimista» ha detto Parolin che però incoraggia a «insistere su questo terreno, quello della diplomazia e del multilateralismo, altrimenti la guerra continuerà a divorare i figli dell'Ucraina». Quanto al dibattuto tema dell'invio di armi a Kiev, il segretario di Stato ha ripetuto che le nazioni hanno «il diritto a difendersi dall'invasione subita» benchè insistere solo il lato bellico senza la sponda diplomatica non dà frutti. «Dico soltanto che limitarsi alle armi rappresenta una risposta debole».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 29 Aprile 2022, 18:56
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