Coronavirus, la Cei vieta le messe nelle zone rosse: restano nelle regioni non a rischio

La Cei vieta le messe nelle zone rosse: restano nelle regioni non a rischio

di Franca Giansoldati
Città del Vaticano - «Alla luce del confronto con il Governo la CEI chiede che, durante la settimana, non ci sia la celebrazione delle Sante Messe». Dopo l'entrata in vigore del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di fermare il contagio del coronavirus, i vescovi hanno diramato a loro volta indicazioni valide per tutto il territorio interessato e per evitare il contagio durante le celebrazioni ed evitare il sovraccarico del sistema sanitario. «In tre regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) e in alcune province (Savona, Pesaro e Urbino) sono state stabilite limitazioni anche per i luoghi di culto, la cui apertura richiede l’adozione di misure tali da evitare assembramenti di persone». In pratica niente funerali, matrimoni, battesimi, corsi per fidanzati, catechismo ai bambini.

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Nelle aree che non sono a rischio, assicurando i vescovi che verranno rispettate le indicazioni del governo ma ci sarà la possibilità di celebrare la messa, come di promuovere gli appuntamenti di preghiera che caratterizzano il tempo della Quaresima.

«Il nuovo decreto, inoltre, stabilisce – per l’intero territorio nazionale, fino al 3 aprile – la sospensione delle manifestazioni, degli eventi e degli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro».

Tra le misure di prevenzione, si evidenzia, in particolare, l’«espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro” (DPCM, art. 2, b)».

«Le misure adottate - si legge - mettono in crisi le abituali dinamiche relazionali e sociali. La Chiesa che è in Italia condivide questa situazione di disagio e sofferenza del Paese e assume in maniera corresponsabile iniziative con cui contenere il diffondersi del virus. Attraverso i suoi sacerdoti e laici impegnati continua a tessere con fede, passione e pazienza il tessuto delle comunità. Assicura la vicinanza della preghiera a quanti sono colpiti e ai loro familiari; agli anziani, esposti più di altri alla solitudine; ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari, al loro prezioso ed edificante servizio; a quanti sono preoccupati per le pesanti conseguenze di questa crisi sul piano lavorativo ed economico; a chi ha responsabilità scientifiche e politiche di tutela della salute pubblica».

 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 5 Marzo 2020, 12:41
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