Un mistero irrisolto che dura da 40 anni: il 13 maggio 1981 l'attentato a Papa Wojtyla

Un mistero irrisolto che dura da 40 anni: il 13 maggio 1981 l'attentato a Papa Wojtyla

di Franca Giansoldati

Città del Vaticano - Un inquietante giallo lungo quarant'anni e mai svelato. La folla sulla piazza, il brusio dell'udienza generale, i cori di entusiasmo mentre transitava in piedi sulla giardinetta bianca Papa Wojtyla poi ad un tratto, uno, due tre, quattro colpi d'arma da fuoco. Quel mercoledì 13 maggio di 40 anni fa esatti, resterà nella storia come uno dei più grandi misteri irrisolti, al pari dell'uccisione di John Fitzgerald Kennedy a Dallas. Chi c'era dietro l'attentato al primo Papa polacco della storia che ha contribuito a dare una spallata e a far crollare il Muro di Berlino? Le ipotesi che sono affiorate in questo tempo sono le più disparate: il Kgb e Mosca, i servizi segreti Bulgari, persino la Cia, i Lupi Grigi turchi, ultranazionalisti e filo islamici contrari all'Occidente che agivano da soli, persino ad un certo punto è avanzata una tesi suggestiva sull'Ayatollah Komeini.

Nemmeno l'inchiesta durata quasi vent'anni e compiuta in sei Paesi diversi, è mai riuscita a stabilire chi furono realmente i mandanti. 

Quel mercoledì era calendarizzato come una udienza generale di tabella. La Radio Vaticana nella telecronaca raccontava che il Papa era arrivato in piazza San Pietro. In piedi, nella campagnola bianca, benediceva e passava lentamente tra la gente. Aveva preso in braccio una bambina bionda, accarezzato un ragazzino bruno. Poi gli pari in rapida successione mentre salgono le urla della gente nel vedere il Papa che si accascia barcollando tutto insanguinato sorretto dal segretario don Stanislao e i gendarmi che facevano largo per dirigere velocemente la jeep all'interno del Vaticano. 

Da quell'istante gli avvenimenti scorrono tenendo con il fiato sospeso i fedeli di tutto il mondo. L'allora medico personale Renato Buzzonetti, oggi defunto, ha descritto quei momenti con angoscia anche perchè si vedeva che il Papa perdeva sangue e così decise di fare trasportare Wojtyla al Gemelli dove sarebbe poi stato operato d'urgenza di lì a poco. 

Alle 18.40 un sacerdote annuncia alla folla rimasta in preghiera a piazza San Pietro che non era stato colpito nessun organo vitale. L'annuncio venne ripetuto in spagnolo,francese, inglese, tedesco e polacco. La gente pregava e piangeva. Bar e negozi di via della Conciliazione avevano abbassato le saracinesche. Su Roma scende un clima cupo, una atmosfera sbigottita.

Nel frattempo la polizia italiana ferma un giovane sui 22 anni, capelli scuri e volto olivastro. E' lui che ha sparato. Alì Agca, membro dei Lupi Grigi, viene portato per un primo interrogatorio negli uffici di Via del Mascherino. Ha ancora con sé l'arma, una Browning HP 9mm Parabellum. Acga ha sparato e mirato al bersaglio che era a poca distanza da lui ma, secondo Papa Wojtyla, avvenne il miracolo. Le parole trapassarono il suo corpo ma senza toccare gli organi vitali, tanto che una volta uscito dal Gemelli dirà:  “Una mano ha premuto il grilletto, un’altra mano materna ha deviato lo traiettoria del proiettile. E il Papa agonizzante si è fermato sulla soglia della morte”. Giovanni Paolo Il è sempre stato convinto che sia stata la Madonna a salvarlo: il 13 maggio è il giorno della prima apparizione della Vergine di Fatima nel 1917 ai pastorelli. Sabato 16 maggio registra, in sala di rianimazione al Policlinico Gemelli, la preghiera domenicale. La voce affaticata del Papa ferito viene diffusa la domenica: “Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato”.

Da quel momento si apre un giallo infinito che dura da 40 anni.

Chi c'era dietro l'attentato? Chi aveva interesse a togliere di mezzo il pontefice polacco? 

Nel Natale del 1983, due anni dopo, Giovanni Paolo II volle incontrare il suo attentatore in prigione. I due parlarono da soli e gli argomenti della loro conversazione sono tuttora sconosciuti. Il papa dirà dell’incontro: «Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui». Tuttavia, Indro Montanelli riportò in seguito alcune parole che Giovanni Paolo II, durante una cena privata del 1986, gli riferì sull’episodio: «Parlai con quell’uomo dieci minuti, non di più: troppo poco per capire qualcosa di moventi e di fini che fanno certamente parte di un garbuglio… si dice così?… molto grosso. Ma di una cosa mi resi conto con chiarezza: che Alì Agcà era rimasto traumatizzato non dal fatto di avermi sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si considerava infallibile, a uccidermi. Era questo, mi creda, che lo sconvolgeva: il dover ammettere che c’era stato Qualcuno o Qualcosa che gli aveva mandato all’aria il colpo». 

Le lunghe indagini non hanno mai portato alla scoperta dei veri mandanti dell’attentato. Da alcuni documenti provenienti dalla Germania e dall'Ungheria analizzati dalla commissione Mitrokhin del Parlamento italiano emersero accenni su una progettazione del KGB in collaborazione con la Stasi, i servizi segreti della Germania Est, con l’appoggio di un gruppo terroristico bulgaro a Roma, che a sua volta si sarebbe rivolto ai Lupi grigi. Altri documenti scoperti negli archivi sovietici e resi pubblici nel marzo 2005 appoggerebber la tesi che l’attentato sia stato commissionato dall’Unione Sovietica tramite il Kds bulgaro. Le autorità bulgare si sono sempre difese dichiarando che Ali Agca lavorava per un’organizzazione anti-comunista guidata dai servizi segreti italiani e dalla Cia. La difesa delle autorità bulgare si basava sul fatto che i Lupi grigi erano in effetti al comando del Counter-Guerrilla, il braccio in Turchia della rete “Stay behind”, Gladio, sostenuta segretamente dalla Cia e da altri servizi segreti occidentali. Ma sono solo ipotesi. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, nel maggio 2002, durante uno dei suoi ultimi viaggi in Bulgaria, disse esplicitamente di «non aver mai creduto nella cosiddetta connessione bulgara». Successivamente una altra inchiesta relativa ad un vasto traffico di armi e droga condotta dal giudice Carlo Palermo negli anni ottanta, fece affiorare sospetti su Abuzer Ugurlu (capo della mafia turca che permise ad Ali Ağca di entrare in Bulgaria) e Bekir Celenk (contrabbandiere e tramite fra i Lupi grigi e i servizi segreti bulgari, secondo quanto dichiarato da Ali Agca). Tutti sarebbero stati agenti doppi sia per l’est, sia per l’ovest.

Ali Ağca in tutti questi anni non ha mai voluto rivelare in modo chiaro la verità sugli eventi. Egli ha ripetutamente cambiato versione sulla dinamica della preparazione dell'attentato, a volte affermando addirittura di aver avuto aiuti per compierlo.

A 40 anni il giallo resta integro.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 10 Maggio 2021, 20:08
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