Patrizia, 129 giorni in balia del Covid: «Ho visto la morte, chi può doni il plasma»

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di Ilaria Bosi

SPOLETO - Se c’è un sapore che neanche il Covid-19 riesce ad alterare, è senz'altro quello della libertà. La storia di Patrizia Foca, parrucchiera spoletina eclettica e determinata, suona proprio come un inno alla libertà, dopo 129 giorni in balia del Covid, tre ospedali e la morte vista da vicino. Patrizia ha deciso di raccontare la sua storia, non solo per ringraziare quegli «angeli in carne e ossa» che si sono presi cura di lei, ma anche e soprattutto per sensibilizzare tutti a donare il plasma e lanciare un monito, forte, a chi ancora oggi si ostina a sottovalutare il virus. Dimessa per l’ultima volta dall’ospedale il 21 febbraio scorso, domenica è tornata negativa e ieri si è concessa la prima uscita dopo un isolamento iniziato il 5 novembre scorso.

Un caffè all’aperto, con le mani che tremano e gli occhi che si lucidano. Qual è la sensazione?

«Di rinascita. È come se fossi nata un’altra volta: il primo caffè della mia seconda vita. Il gusto inizia piano piano a tornare, mentre per l’olfatto mi hanno detto che passerà ancora parecchio tempo. Questo caffè è buono, profuma di libertà».

In questi cinque mesi, qual è stato il momento più difficile?

«Prendere coscienza che avrei potuto non arrivare al giorno dopo: è brutto, quando non respiri, sei attaccata a qualcosa che respira per te. Non sai se c’è un domani, se passa: questa è la situazione più brutta. Ci sono momenti che non dimenticherò mai: quando senti la gente che urla, che chiede aiuto perché gli manca il respiro. Quando vedi la tua vicina di letto morta, che viene portata via in condizioni assurde. Vivi e sopravvivi, in quei momenti, e pensi: e io, che farò? Farò quella fine? Che ne sarà di me?

Qual è l’appello che si sente di fare alla gente?

«State attenti, sempre. E alle persone anziane: state a casa, non uscite. Fatelo solo all’occorrenza, se proprio dovete, perché capisco che ci sono situazioni di persone sole.

Anche a loro: provate comunque a rivolgervi alla protezione civile, alle associazioni. Possono portarvi medicinali, spesa e tutto ciò di cui avete bisogno. Il Covid è una brutta bestia, io sono stata malissimo.

Cosa direbbe a chi ancora minimizza e si ostina a negare quasi anche l’esistenza del virus?

«Gli direi di contattarmi. Mi contattassero, ce le faccio io due chiacchiere. E sono convinta che dopo gli passa la voglia di fare i galletti in giro, senza indossare la mascherina e di andare a dire che il Covid non esiste. Il covid c’è, ce n’è tanto e c’è anche tanto menefreghismo: troppa gente vive ancora questa situazione in modo superficiale. E questo non va bene, perché non è giusto che poi ci si debba ammalare per colpa di chi sottovaluta».  

Ha avuto degli angeli custodi in carne ossa, vero?

«I miei angeli – racconta - sono i ragazzi del Covid 1 del Santa Maria di Terni, che io ringrazierò fino alla morte. Gli ospedali sono blindati e in quei momenti sei sola, isolata. Eppure loro, i ragazzi del Covid1, hanno sempre avuto con me e con tutti una stretta di mano, un abbraccio, un bacio. Sono fantastici. Io vi ringrazio adesso, ma lo farò per tutto il resto della mia vita».

Per lei si è rivelata molto importante anche l’infusione di plasma. Un appello a donare?

«Lo dico con il cuore: chi è stato contagiato dal Covid ed è nelle condizioni di donare il plasma, lo faccia. Informatevi nei centri di laboratorio analisi e donate. Io se non avessi fatto tre infusioni di plasma, forse non sarei qui. Chi può doni: non costa niente, fa del bene e soprattutto può salvare un’altra vita. Come è successo a me».

Cosa sogna adesso?

«Spero quanto prima di poter riprendere il lavoro e, nei limiti del possibile, la mia vita di prima. Gioendone ancora più di prima».

ilaria.bosi@ilmessaggero.it


Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Marzo 2021, 17:22
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