Umbria zona rossa, l'epidemiologo: «Perugia è la nuova Codogno, si chiudano le province vicine prima che sia tardi»

«Perugia è la nuova Codogno, si chiudano le province vicine»

di Italo Carmignani e Fabio Nucci

Qualche amico, scherzando, lo chiama mister lockdown e l'epidemiologo Fabrizio Stracci, professore associato di Igiene generale e applicata dell'Università degli studi di Perugia, torna a evocare il blocco totale per l'Umbria e almeno le province limitrofe. L'unico modo per arginare l'avanzata, trainato dalle varianti inglese e brasiliana. Fenomeno che con ogni probabilità è iniziato già durante le feste di Natale, inquinando i dati sulle infezioni condizionati dalle riunioni familiari.

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Professor Stracci, come giudica l'attuale situazione umbra?
«Vedo una situazione pericolosa, perché ogni giorno aumenta il carico sui servizi sanitari e ritrovarci oggi come Codogno un anno fa non è bello».


Lei già un mese fa chiedeva di chiudere.
«Mi chiamano mister lockdown, ma non è che abbia questa passione. Penso però sia più produttivo introdurre un periodo di blocco centrato per poi ritrovarsi più liberi dal virus e dalle sue conseguenze, che vivere limitazioni frammentate: l'obiettivo dev'essere eliminare il virus dai territori».

 


Come Cts avevate avvertito anche sulla necessità di evitare una terza ondata sovrapposta alla campagna vaccinale.
«Ci hanno detto che a gennaio in Umbria sarebbero arrivati fiumi di dosi tutte insieme, una cosa irrealistica. Oggi, invece, abbiamo a che fare con vaccini dall'efficacia diversa, varianti di virus che hanno R con zero differenti. È anche difficile capire quale sia la strategia migliore per raggiungere l'immunità di gregge».


Quando si è iniziato a capire l'effetto varianti?
«Quando sono comparsi vari cluster nelle Rsa e negli ospedali.

Dopo le festività ci aspettavamo una risalita dei contagi ma dai comuni ci dicevano che si trattava di cluster familiari e questo era plausibile, potendo le persone incontrarsi, anche se questo non giustificava i focolai sanitari. Poi, ci ha insospettito l'elevata incidenza sui giovani i cui contagi, a scuole semi-chiuse o chiuse, schizzavano più rispetto agli adulti. Fossero state infezioni familiari avrebbero colpito allo stesso modo, invece queste caratteristiche si sono rivelate quelle di un virus che si diffonde di più ed è più difficile da fermare, come per la variante inglese più diffusa tra i giovani».


Questo ha creato una sorta di scalino nel vostro modello.
«Finché l'incidenza è bassa, l'evoluzione del virus tradizionale non si modifica, ma quando il contagio comincia ad essere prevalente, l'andamento della curva assume le caratteristiche della variante che il modello non può vedere. In ogni caso ci dà predizioni non buone».


Un motivo in più per adottare misure più restrittive?
«Sarebbe opportuno, almeno per le province limitrofe che, con l'Umbria di fronte, dovrebbero capire che il virus converrebbe fermarlo prima. Allo stato attuale sembra sempre più opportuno prendere misure che preservino anche quelle zone non ancora interessate da una crescita così veloce dei contagi».


Come nucleo epidemiologico regionale avete promosso una ricerca sulle varianti. Di che si tratta?
«A livello nazionale è stata avviata una ricerca che ha rivelato come la variante inglese dia una risposta negativa rispetto alla proteina S ed è stato stimato che a livello nazionale incide per il 20%. Il nostro studio servirà a capire la prevalenza anche di quella brasiliana sulla base del sequenziamento di circa 300 campioni raccolti in tutta la regione dai servizi territoriali. Se riuscissimo a ipotizzare quando la variante brasiliana è iniziata a diffondersi potremmo cercare di stimare anche il suo R zero che per ora sappiamo essere solo più alto di quella inglese».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 10 Marzo 2021, 12:27
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