Lafora, la malattia ingiusta che colpisce i ragazzini e il coraggio di Margherita: «Solo in 250 hanno il male di mio figlio, aiutiamoli»

Lafora, la malattia ingiusta che colpisce i ragazzini e il coraggio di Margherita: «Solo in 250 hanno il male di mio figlio, aiutiamoli»

di Egle Priolo

PERUGIA - Marco ha 14 anni. È la primavera del 2020 e sta studiando per gli esami di terza media. Lui scia, fa pallavolo e atletica, nuota, è uno scout e va anche bene a scuola. Ha gli occhi azzurri e un sorriso che conquista. E all’improvviso inizia a cadere.

Non sviene, cade. Trema, scatta, subisce perdite di tono ma non di coscienza. I suoi genitori impareranno purtroppo che si tratta di mioclonie, nome scientifico della porta che si aprirà sul loro baratro. Perché Marco è uno dei 28 ragazzi che in tutta Italia (due solo in Umbria) soffrono della malattia di Lafora, una patologia ultra rara che colpisce 250 giovani in tutto il mondo. E se Marco, oggi sedicenne, è un nome di fantasia è invece purtroppo una drammatica realtà quella che è costretto a vivere: incapace di lavarsi, vestirsi, ricordare che giorno è. Ma ha ben chiara una cosa: i suoi genitori combattono da due anni per ottenere una cura perché lui possa sperare in una vita normale. Perché la cura esiste, anzi ne esistono almeno tre, ma «ci vogliono soldi, fatica e buona volontà. E i malati vanno tutti curati, indipendentemente da quanti siano. Lo prevede la nostra Costituzione». 
A parlare è la mamma Margherita Gatti, noto avvocato, una famiglia che a Perugia è un’istituzione ma che non ha visto l’abbraccio di una città solo per piaggeria. Anzi. Margherita in questi due anni da incubo ha avuto la forza di riunire intorno a sé un vero e proprio gruppo di lavoro che potrebbe portare a una rivoluzione per chi combatte contro questa patologia genetica neurodegenerativa che esplode intorno ai 12/14 anni e colpisce muscoli, scheletro, cuore e soprattutto i neuroni. «Quando nostro figlio ha iniziato ad avere i primi sintomi - racconta Margherita con una lucidità annichilente - abbiamo pensato ai problemi causati dalla Dad, dalla depressione dovuta alla costrizione in casa. Dal pronto soccorso di Perugia, purtroppo, non uscimmo con una diagnosi, all’epoca il reparto di Pediatria era acefalo, c’era la pandemia, non fu colpa di nessuno. Andammo a Siena e lì ci dissero che era Lafora. Era aprile dello scorso anno e le sue condizioni si stavano terribilmente aggravando. Ma lì decisi che non era il momento di piangere, ma di studiare. Non solo per mio figlio ma anche per tutti quelli che verranno dopo di lui». 

LA RICERCA
Margherita inizia a documentarsi: lei e il figlio hanno una variante genetica unica al mondo e sente di «essere chiamata a farlo». Insieme al genetista di Perugia Paolo Prontera, al professor Alberto Verrotti, nominato intanto primario di Pediatria del Santa Maria della misericordia, a Gabriele Costantino direttore del dipartimento di Farmacologia di Parma, alla professoressa Francesca Bisulli dell’Alma Mater e a Roberto Michelucci, direttore della clinica neurologica Bellaria di Bologna, eccellenza italiana a cui si rivolgono tutti i malati di Lafora. Con il loro aiuto, Margherita Gatti lo scorso ottobre («grazie anche al Post, alla fondazione Bird - Associazione Malattie Rare Mauro Baschirotto, alla Fondazione Cassa di risparmio e al sindaco Andrea Romizi», tiene a precisare) porta alla Sala dei Notari i massimi esperti mondiali della patologia. Tra loro anche Berge Minassian, ideatore del farmaco Ion 283, e Matthew Gentry che ha brevettato il Val 0417. Lettere e sigle che per i genitori diventano una speranza. 
Perché se il professore Costantino ha redatto un documento tecnico per chiedere alla casa farmaceutica Sanofi l’utilizzo compassionevole (e quindi gratuito, invece dei necessari 80mila euro al mese a malato) del farmaco Myozyme - che potrebbe distruggere gli accumuli glicogenici che portano alla demenza e fino al decesso - il gruppo di lavoro ha ora l’obiettivo di ottenere l’utilizzo dello Ion 283.

La casa farmaceutica Ionis aveva fatto promesse su questo farmaco che blocca la malattia, ma recentemente si è tirata indietro, chiedendo 10 milioni di dollari per la cessione della licenza. Un brutto colpo per Margherita che però non si è arresa. Attraverso l'associazione TempoZero, con un altro genitore è arrivata fino al sottosegretario alla Salute Andrea Costa che, con il deputato Roberto Novelli, ha promesso un quinto dello stanziamento, per la sperimentazione su dieci pazienti. Ci sarebbe poi l’altra terapia enzimatica come il Myozyme (per cui la Sanofi ha dovuto dire di no, perché a oggi mancano i requisiti normativi per la concessione dell'uso compassionevole, requisiti che - pensati a tutela della sicurezza dei pazienti - richiedono, per le malattie rare, l'esistenza di studi clinici sperimentali in grado di documentare l'attività e la sicurezza del medicinale), il Val 0417, che però è solo un brevetto farmaceutico, non ancora sperimentato. 

L’APPELLO
Insomma, le cure esistono, ma ci vuole la volontà di salvare questi ragazzi che fino al giorno prima corrono e vivono e poi iniziano a cadere, con un’aspettativa di vita che non supera i 10 anni. «E morire non è la cosa peggiore - insiste Margherita -. Se non facciamo niente, la cosa peggiore è vivere. Allettati, tracheotomizzati, completamente dementi. Ma per adesso mio figlio è vivo, ci riconosce e va a scuola. Grazie anche all’impegno dell’istituto Giordano Bruno e della dirigente Anna Bigozzi, che ha attivato tutto quello che doveva. Subito e con grande umanità». Margherita intanto aspetta ancora la risposta di Sanofi, per cui si sono spesi - come per l’Aifa - anche i vertici nazionali e regionali di Federfarma, con il presidente umbro Augusto Luciani. 
«La malattia si conosce - chiude Margherita Gatti - e c’è la cura. Di fondo è una questione di soldi, non di conoscenza. E io mi impegno per non impazzire. Per dare un senso a tutto il dolore che provo. Per mio figlio e per tutti gli altri».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 13 Aprile 2022, 17:31
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