Coronavirus, funziona il farmaco anti artrite. «A Perugia paziente lascia la rianimazione»

Funziona il farmaco anti artrite. «A Perugia un paziente lascia la Rianimazione»

di Egle Priolo
PERUGIA - Il farmaco contro l'artrite salva un paziente contagiato dal coronavirus, che esce da Terapia intensiva e passa al reparto di Malattie infettive. Un piccolo miracolo che restituisce aria dopo giorni di apnea. Piccolo ma non unico. Perché ci sono anche i sette posti di Terapia intensiva attivi da oggi a Città di Castello e gli altri creati a Perugia in soli otto giorni di «lavoro massacrante». Ma soprattutto l'altro paziente uscito da Rianimazione, dopo il trattamento con antibiotici e antivirali. Per dire quanto sia importante anche la conta di chi migliora e non solo di chi, purtroppo, non ce la fa. «Perché questa guerra la vinceremo. Ma solo se continuiamo a fare squadra». Parola di Fabio Gori, direttore della struttura complessa di Anestesia Rianimazione 1 e Medicina del dolore dell'ospedale Santa Maria della Misericordia. Tra i medici in prima linea contro il coronavirus e che non dimentica, nella lunga intervista, di sottolineare l'impegno di tutti, dagli Oss agli infermieri fino ai dirigenti dei reparti, in questa battaglia.

Direttore, qual è al momento la situazione in Terapia intensiva?
«In tutta l'Umbria, come ormai noto, ci sono 70 posti disponibili e stiamo aspettando le attrezzature per i 35 promessi da Regione e Protezione civile. Ma nel frattempo, ci siamo organizzati: a Perugia, per esempio, ai 13 esistenti abbiamo aggiunto i 6 (che possono diventare 10) della cosiddetta Nuova Terapia intensiva e a Città di Castello tra oggi e lunedì verranno garantiti altri 7 posti Covid dedicati. Senza contare anche gli spazi disponibili all'ospedale di Pantalla, polmone della nuova organizzazione».
Le metafore pneumologiche speriamo portino bene... A proposito, come sta il paziente trattato con il Tocilizumab, il farmaco contro l'artrite reumatoide che state testando anche a Perugia?
«Ha avuto un buon beneficio e ha risposto bene: era intubato e dopo la terapia è passato prima alla ventilazione non invasiva e poi all'ossigeno, tanto da essere trasferito in altro reparto. Come un secondo paziente che è stato possibile dimettere da Terapia intensiva dopo solo 24 ore di antibiotici e antivirali».
Quanti sono i posti disponibili al momento in Terapia intensiva?
«A Terni, per esempio, sono occupati 12 su 15. A Perugia, attualmente, sono 17 su 19, considerato anche il posto che cerchiamo di tenere sempre libero perché dedicato alla rianimazione pediatrica».
Questo significa che già con i posti esistenti è possibile fronteggiare l'emergenza?
«Purtroppo no. Va dato il merito, qui a Perugia, ai colleghi del pronto soccorso, del reparto di Malattie infettive e a Cecilia Becattini (responsabile del reparto cosiddetto Covid 19, ndr) per l'ottimo lavoro, prezioso e fondamentale, di filtro che stanno facendo. L'ospedale è stato diviso in base a diversi gradi di attività assistenziale. Per dire, il pronto soccorso ospita all'Obi chi ha difficoltà respiratorie, quei pazienti “grigi” in attesa di tampone, che vengono assistiti con ventilazione non invasiva. Come accade negli altri due reparti per i positivi. In modo che solo i più gravi – dopo che un pool di rianimatori e infettivologi valuta i pazienti ogni giorno – vengano trasferiti in Terapia intensiva, hub di riferimento anche degli ospedali periferici».
Avete pazienti di altri territori quindi?
«Sì, ma anche uno di Bergamo. Tra i più gravi: è intubato».
E gli altri pazienti, magari sempre con insufficienze respiratorie ma non da coronavirus?
«Vengono assistiti dagli pneumologi, la cui consulenza e il cui apporto sono preziosissimi in questo momento. Così come la Terapia intensiva post operatoria cardiochirurgica è stata trasformata in Terapia intensiva generalista».
Dal vostro punto di vista, il famoso picco dei contagi è arrivato?
«Ci siamo dentro. Speriamo che all'inizio della prossima settimana si possano iniziare a notare gli effetti benefici delle restrizioni decise dal Governo».
Si dice che anche l'influenza normale ogni anno causi malati gravi e morti. È vero?
«L'influenza causa un numero alto di decessi ogni anno, ma qui l'agente patogeno è molto più aggressivo».
Rianimazione è già un reparto “difficile”, come si rapportano i familiari ai malati in un momento in cui non è possibile nemmeno avvicinarsi?
«I nostri pazienti sono tutti intubati e sedati farmacologicamente, ma purtroppo abbiamo dovuto abbandonare il concetto di Rianimazione aperta, grazie a cui era possibile far accedere i familiari. Però abbiamo dato fasce orarie in cui i parenti possono parlare con un operatore medico per conoscere lo stato del contagiato. Per il resto, è devastante vedere gli altri pazienti, con difficoltà respiratorie ma non ipossia: sono estremamente lucidi, consci di aver fame d'aria. È devastante. Come è massacrante un turno di 6 o anche 12 ore in reparto: sopra la divisa abbiamo calzari, un camice, un cappello che copre anche il collo, una maschera, doppi guanti... Ci vogliono più di 10 minuti per vestirsi, non si può uscire perché si centellinano i sistemi di protezione e spesso non si ha il tempo neanche di bere o andare al bagno. Una fatica fisica fuori dal mondo. Ma...»
Ma?
«Ma è bellissimo vedere come tutti si aiutino l'un l'altro. Tra sanitari, tra reparti. Per vincere la guerra, dobbiamo continuare a fare squadra».
Ultimo aggiornamento: Domenica 22 Marzo 2020, 00:07
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