Il cardinale Bassetti: «Conosco gli umbri, la loro terapia sarà la forza d'animo»

Il cardinale Bassetti: «Conosco gli umbri, la loro terapia sarà la forza d'animo»

di Luca Benedetti e Italo Carmignani
PERUGIA - Piazza IV Novembre vuota e silenziosa, l’impegno della Chiesa di Perugia per sfidare il virus e aiutare chi è in prima linea e chi soffre, il pensiero ai giovani con un messaggio chiaro su quello che stiamo vivendo «è un tempo da non sprecare, ma che va vissuto con coraggio e creatività».
Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e arcivescovo di Perugia, guarda dentro l’emergenza, dentro alla sofferenza di una comunità e guarda anche al futuro, al dopo emergenza. Per il cardinale la prova che stiamo vivendo deve lasciare un senso maggiore di solidarietà e di responsabilità.
Piazza IV Novembre, la piazza simbolo della città, vuota. Che sensazione le fa guardandola dalle finestre della Curia?
«Vuota e silenziosa, normalmente affollatissima, la storica piazza grande di Perugia, con la sua Fontana  Maggiore taciturna, fa venire un po’ i brividi. Il luogo di ritrovo dei perugini, assieme al corso Vannucci, così desolato, dà un’immagine concreta della tragedia che stiamo vivendo. Le piazze e le città spopolate rimarranno tra le icone di questa epidemia che attraversa e sconvolge l’Italia e il mondo. Simboli di sofferenza indelebili, immagini impresse, ne sono certo, nel cuore di Dio, insieme a quelle delle corsie di ospedale, che purtroppo, a differenza delle nostre vie cittadine, traboccano. Non dimenticheremo neppure le immagini delle autocolonne di mezzi dell’Esercito con a bordo le salme dei cittadini lombardi portate a essere cremate. Nella nostra piazza, al pari di tante altre, le porte della cattedrale sono però rimaste aperte, come segno di speranza, anche se le celebrazioni avvengono senza fedeli. Unendosi allo sforzo corale di tutta l’Italia in questo periodo, è importante che le persone di fede e di buona volontà intensifichino il loro impegno di preghiera, ognuno nel proprio ambito domestico, perché chi opera sul fronte sanitario avverta una solidarietà spirituale e chi soffre non si senta mai solo».
La Chiesa si è subito attivata in modo concreto per l’emergenza Covid-19: dai servizi della Caritas alle strutture per medici e infermieri che lavorano in ospedale e che possono usufruire di posti letto al Sacro Cuore. Avete in programma altri interventi?
«L’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, come tantissime altre diocesi in Italia, ha messo a disposizione delle aziende sanitarie le proprie strutture di accoglienza per andare incontro a quanti hanno bisogno di alloggio per non mettere a rischio di contagio le proprie famiglie, ad esempio i medici e gli infermieri, che operano in situazioni di contatto con i pazienti. Oltre a questo, abbiamo concordato la disponibilità della clinica Lami a ricoverare quei malati che l’ospedale di Perugia al momento non può accogliere a motivo dell’emergenza coronavirus, nel modo che l’assessorato alla sanità riterrà più opportuno. I nostri centri Caritas, inoltre, sono sempre aperti e disponibili all’aiuto delle persone in difficoltà. Grande lavoro stanno svolgendo in questo periodo anche il Banco Alimentare e le Caritas parrocchiali, che, con i loro rifornimenti di viveri, aiutano tantissima gente. Sono segni concreti di vicinanza e di amore alla nostra terra e a tutte le persone che ora soffrono».
Cosa vi chiede la gente, cosa vi chiedono i perugini in questi giorni di emergenza e dolore?
«Mi arrivano molti messaggi, sia al telefono che via mail. La cosa principale che la gente mi chiede è la preghiera. L’offerta e l’affidamento al Signore e alla Santa Vergine affinché il flagello finisca al più presto. La fede, ancora tanto viva, nel nostro popolo si esprime con gesti di pietà e di orazione che in questi giorni vengono veicolati in gran numero dai mezzi della comunicazione sociale. La gente poi chiede vicinanza, aiuto e incoraggiamento. Tutti i miei parroci vengono stimolati a una grande creatività nel bene; personalmente cerco di essere vicino a tutti, anche valorizzando al massimo le celebrazioni, che continuo a svolgere e che vengono trasmesse dai media, cui va la mia gratitudine. La parola del Signore, come dice san Paolo, non è in catene, e ha una straordinaria capacità di seminare nei cuori la pace e la forza necessarie per affrontare questo periodo, doloroso per tutti».
Lei parla spesso ai giovani e richiama l’attenzione che tutti devono avere per loro. Lo ha fatto anche nella Domenica delle Palme. Cosa può dire la Chiesa ai giovani perugini in un momento così difficile e particolare?
«La Chiesa è vicina alle famiglie, agli anziani in difficoltà, e ai tanti giovani che in questo periodo vivono nell’incertezza o magari nella paura del futuro. L’Università e le scuole non si sono arrestate, organizzando coraggiose modalità di didattica in Rete. Neanche le attività parrocchiali sono ferme: parroci, catechisti e animatori degli oratori si tengono in contatto mail e video con molte famiglie e giovani. È un tempo da non sprecare, ma che va vissuto con coraggio e creatività. Invito i giovani che sono in casa a valorizzare questo periodo riscoprendo e rivitalizzando i rapporti familiari. Sono anche vicino ai giovani che si trovano a Perugia per motivo di studio e che ora non possono raggiungere le proprie famiglie: sia questo un tempo di impegno nello studio e nella preparazione culturale. Un tempo che non andrà perduto».
L’immagine di Papa Francesco che prega in piazza San Pietro vuota, sotto la pioggia, è stata un’immagine molto forte. Cosa lascia e cosa vuol dire secondo lei?
«Si è trattato di un evento straordinario, che ha lasciato il segno. In tutti, ma proprio in tutti. Quelle immagini, istante per istante, rimarranno nella nostra memoria e nel nostro cuore. Il Santo Padre, nella solitudine di quella immensa piazza, ci ha rappresentati tutti; ha elevato la sua voce a Dio a nome dell’intera umanità: ha chiesto misericordia al Signore e ci ha ricordato che siamo tutti sulla stessa barca in balia della tempesta; ci salviamo solo restando uniti. È un invito per ogni pastore, il quale, per suo carisma e vocazione, si offre a Dio per il suo popolo, sul modello di Gesù Cristo. È un invito ai popoli a collaborare, non solo in questo periodo di emergenza, ma sempre, nel tempo. Solo con la solidarietà e la collaborazione si potrà costruire un mondo nuovo».
Come immagina il domani, post emergenza, di Perugia, ma anche dell’Umbria. Quale deve essere, secondo Lei, il punto di ripartenza?
«Questa tragedia, se non lascerà macerie materiali visibili come il terremoto, ci consegnerà ugualmente molte distruzioni, sia a livello umano che sociale. Ci vorrà coraggio e fortezza d’animo per riprendere in pieno le attività, sia educative che economiche e sociali. Ma, come dicevo, il filo non si è mai interrotto; la forza d’animo degli umbri, e così pure di tutti gli italiani, è già emersa in pienezza e, spero, durevolmente. Questa prova durissima ha messo a nudo energie straordinarie, impensate, che forse sarebbero rimaste nascoste o latenti. Spero, anzi sono sicuro, che, insieme a dati molto pesanti, insieme al dolore di tante famiglie che hanno perduto i loro cari, essa ci lasci anche un senso maggiore di solidarietà e di responsabilità. Oso perciò guardare al futuro con fiducia. Conosco la tempra dei miei concittadini: sono forti, stanno già reagendo in modo esemplare, sapranno riprendersi da questa prova. Il Signore, pur nelle ristrettezze del tempo, ci conceda una vera Pasqua di resurrezione».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 10 Aprile 2020, 09:27
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