In queste settimane abbiamo visto come il conflitto tra Russia e Ucraina sia stato raccontato soprattutto attraverso i social media. Foto e video che nel giro di pochi secondi hanno fatto il giro del mondo, raccontando la crudezza della guerra, arrivando dritte ai nostri cuori. Mentre gli ucraini sotto attacco postano a gogo (esempio lampante è la comunicazione del Presidente Zelensky) lo stesso non possono fare i cittadini russi, a cui sono stati silenziati Instagram e Facebook.
Putin ha optato per la linea dura in stile Glavlit, fermando la libera stampa e ora i principali social. La parola guerra è vietata e se qualche cittadino vuole parlare male dell'operazione militare, che lo faccia a casa propria ma non online. Contro Meta è partito un procedimento penale epico: il Comitato Investigativo Russo ha infatti accusato la società di Zuckerberg di incitamento all'odio, designandola come organizzazione estremista al pari dell'Isis.
Ecco il paradosso: la censura, vecchio strumento per zittire i dissidenti, ai tempi di internet rischia di diventare un boomerang: privando le persone di uno strumento di libertà (dove comunque anche la propaganda ha il suo spazio), le stimola ancora di più a pensare con la propria testa, a ribellarsi.
@maddai_
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 14 Marzo 2022, 12:43
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