Il boomerang della censura

Il boomerang della censura

di Maddalena Messeri

In queste settimane abbiamo visto come il conflitto tra Russia e Ucraina sia stato raccontato soprattutto attraverso i social media. Foto e video che nel giro di pochi secondi hanno fatto il giro del mondo, raccontando la crudezza della guerra, arrivando dritte ai nostri cuori. Mentre gli ucraini sotto attacco postano a gogo (esempio lampante è la comunicazione del Presidente Zelensky) lo stesso non possono fare i cittadini russi, a cui sono stati silenziati Instagram e Facebook.

Putin ha optato per la linea dura in stile Glavlit, fermando la libera stampa e ora i principali social. La parola guerra è vietata e se qualche cittadino vuole parlare male dell'operazione militare, che lo faccia a casa propria ma non online. Contro Meta è partito un procedimento penale epico: il Comitato Investigativo Russo ha infatti accusato la società di Zuckerberg di incitamento all'odio, designandola come organizzazione estremista al pari dell'Isis.

C'è chi parla addirittura di un progetto più ampio, che farebbe sprofondare il Paese nel passato, cioè l'intenzione di disconnettere la Russia dalla rete internet globale, e creare una RuNet puramente nazionale.

Ecco il paradosso: la censura, vecchio strumento per zittire i dissidenti, ai tempi di internet rischia di diventare un boomerang: privando le persone di uno strumento di libertà (dove comunque anche la propaganda ha il suo spazio), le stimola ancora di più a pensare con la propria testa, a ribellarsi.
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 14 Marzo 2022, 12:43
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