Vega, i primi 10 anni del razzo dei record: da “Fratelli d'Italia” cantato nella giungla ai nuovi modelli

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di Paolo Ricci Bitti

Dieci anni fa, mentre Roma era coperta di neve, a 8mila chilometri di distanza, diventava realtà il sogno dell'ingegnere aerospaziale Luigi Broglio, scomparso nel 2001 e quindi in prima fila lassù per vedere quel 13 febbraio 2012 il "suo" razzo Vega (Vettore Europeo di Generazione Avanzata)  lanciasatelliti decollare dallo spazioporto di Kourou, nella Guyana Francese, per portare in orbita i primi satelliti. Il razzo lanciatore è un progetto dell'Agenzia spaziale europea, ma al 70% viene ideato e realizzato con il coordinamento dell'Agenzia spaziale italiana dall'Avio di Colleferro (70 chilometri da Roma) proprio in questi giorni promossa, a ragione, "Capitale europea dello spazio". A quel primo, storico, lancio, ne sono seguiti altri 19, compresi due fallimenti che nella genesi di un razzo sono pià che compresi nel prezzo. Anzi Vega, con i primi 14 lanci immacolati, detiene un record mondiale di efficienza difficilmente battibile. Ora sta per nascere Vega C (più potente e anche booster, razzo ausiliario, di Ariane 6 come Vega lo è di Ariane 5) e quindi Vega E: il portafogli di Avio, che nel frattempo si è anche quotata in Borsa, è pieno di commesse. Insomma l'Italia, grazie al sogno di Broglio e all'epopea spaziale dell'Avio a Colleferro, ha un accesso autonomo allo spazio come le grandi potenze, come necessario per fare parte della galoppante space economy e come necessario per ispirare le nuove generazioni. 

Dieci anni fa, in quello stabilmento fantascientifico a Valle Secola di Colleferro ugualmente ammantata di neve, a guardare il maxischermo con le immagini in diretta dalla Guyana c'era anche un'ospite d'onore, Samantha Cristoforetti che due anni prima era stata selezionata per diventare astronauta. Lei e Vega si sono portati fortuna a vicenda. Vega, con un modello in scala 1/1 (31 metri d'altezza)  è anche diventato una delle stelle del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci" di Milano. 

Dieci anni fa Il decollo avvenne alle prime luci dell'alba sudamericana e solo per quell'occasione storica venne permesso anche alla stampa di seguire il lancio da vicino, da una piccola radura strappata alla giungla amazzonica dai caterpillar scortati dai massicci soldati della Legione straniera. La terra tremò sotto i piedi, il cuore si bloccò, il cervello spinse in un angolo le malevole statistiche che assegnavano a ogni primo lancio di un nuovo razzo almeno il 70% di possibilità di fallire. E Vega, rombando, si alzò velocissimo ed elegante staccando l'ombra da quell'inferno di fiamme e fumo nella rampa. 

Di seguito trovate le cronache di quei giorni e un commento di Aurelio Picca. Ancora più sotto una selezione di articoli sulle successive gesta di Vega e degli straordinari uomini e donne che lo fanno decollare.  

dal nostro inviato Paolo Ricci Bitti


KOUROU (Guyana Francese, 13 febbraio 2012)  «Fratelli d'Italia» urlato a squarciagola parte d'istinto tra i quasi cento tecnici nella giungla amazzonica quando il quarto e ultimo stadio del razzo Vega raggiunge quota 1500 chilometri. Anche il nono e ultimo satellite è stato incollato all'orbita terrestre: la missione, la prima, quella più difficile perché esposta al 60% di fallimenti, è riuscita alla perfezione e si può finalmente respirare a un'ora dal bagliore all'alba che aveva fatto tremare il suolo.

La testa non ce la fa più a piegarsi indietro per seguire il Vega fiammeggiante tra le nubi che, gentili, in questi ultimi minuti si sono fatte da parte sulla base di Kourou, nella Guyana, poco sotto l'equatore. Territorio d'oltremare francese, ma ieri qui, nell'ex colonia penale, il tricolore era quello verdebiancorosso e quell'inno di Mameli versione match di rugby è stato cantato davanti ai tecnici transalpini, alleati e partner, ma non sempre a loro agio, in questi anni, nel dividere conoscenze e competenze con i «cugini». L'Italia si è arrangiata, ha messo a punto da sola ciò che serviva, e ora si è piazzata alla testa dell'Europa che può competere con Usa, Russia e Cina nella corsa all'oro per portare in cielo satelliti con ogni funzione.

«Sì, les italiens - dice l'ingegnere Francesco Depasquale, ceo del consorzio Elv, da cinque anni diviso tra Colleferro e Kourou - si sono davvero distinti davanti al mondo. In un'ora ci siamo giocati anni di lavoro e le scorte di adrenalina di una vita, ma adesso che è andata bene la soddisfazione e l'orgoglio sono enormi: già nei prossimi mesi Vega potrà portare in orbita satelliti commerciali e scientifici fino a 1500 chili». Un business colossale quanto lo scatto che la ricerca scientifica potrà innescare grazie alla versatilità, persino a buon mercato, di Vega. Orgoglio nazionale: sì, il vettore lanciasatelliti Vega è stato ideato e costruito al 65% a Colleferro da Avio. Ci sarebbe scritto Roma se mettessero la targa al razzo che nessun velox potrebbe intercettare mentre sfreccia con le sue 137 tonnellate a 28mila chilometri orari.

Nello stabilimento da Cronache marziane di Valle Secola, 600 tra ingegneri e tecnici di altissimo livello, con i cervelli stranieri in coda per entrare, realizzano anche il 14% di Ariane 5, vettore tre volte più grande, ma diventato assai costoso. Vega invece, che ha tra i padri anche il professor romano Carlo Buongiorno, della Sapienza, morto appena tre mesi fa, venne definito da Gianni Agnelli la «500 dei cieli» anche se è alto 30 metri. Piccolo, in questi tempi di crisi, è diventato anche vantaggioso: per spedire in orbita un satellite si spenderanno 25/30 milioni di euro, meno di un quinto rispetto a quelli, sia pure più pesanti, dell'Ariane e con grande margine anche rispetto al Soyuz.

«A quasi 25 anni dalle prime idee e a 10 dall'avvio del progetto - dice Enrico Saggese, presidente dell'Agenzia spaziale italiana, abbracciato dalle decine di tecnici di Telespazio, Selex Galileo, Cira e Cgs al centro di controllo Jupiter - questo successo dimostra la capacità italiana di affrontare le eccellenze tecnologiche. I forti investimenti effettuati potranno godere di un grande ritorno economico». Il nuovo lanciatore costruito dal consorzio Elv (70% Avio, il resto Asi) è frutto di un accordo tra Agenzia spaziale europea e Agenzia spaziale italiana con la partecipazione di Francia, Olanda, Spagna, Belgio, Svizzera e Svezia. Oltre all'accelerata decisiva al progetto, l'Italia, attraverso l'Asi, ha fornito oltre 500 dei 700 milioni del programma.

L'Ile du diable da cui fuggì Charriere-Papillon è proprio di fronte allo spazio-porto di Kourou allestito con il vasto sostegno di Vitrociset, ma diabolici sono gli ingegneri-inventori dell'Avio che a Colleferro hanno brevettato millanta idee in questi anni dedicati a Vega. Grande opportunità anche per i ricercatori della Sapienza e delle università di Napoli, Bologna e Torino. Poi da ieri è in orbita anche Lares, 400 chili di tungsteno, per i prossimi 35mila anni l'oggetto più denso del sistema solare: pare quelle palle coperte di specchietti delle discoteche, ma avrebbe fatto comodo a Einstein. 


L'ORGOGLIO DEI DIPENDENTI

KOUROU (Guyana Francese) «Se aspetta un momento le rispondo, adesso ho qualcosa in gola che non va né su né giù». Otello Fanfoni ha 59 anni e, quale veterano «trasfertista» da Colleferro a Kourou, ne ha viste di tutti i colori: adesso, oltre alla lingua inceppata, ha anche gli occhi lucidi. Dallo spiazzo strappato dai Caterpillar alla giungla amazzonica nella Guyana Francese, il tecnico dell'Avio ha appena seguito Vega infilarsi con successo tra le nubi. Vega è il razzo lanciasatelliti ideato e costruito in gran parte a Valle Secola, ma, per quelli come Fanfoni, per quelli che lavorano nello stabilimento dell'Avio, Vega è piuttosto un'entità che li ha accompagnati negli ultimi dieci anni di vita, casa e fabbrica, fabbrica e casa.



Dal manager più in alto nel board, all'ingegnere più geniale, al tecnico più abile: dieci anni di lavoro, di studio, di esperimenti, di colossali investimenti (780 milioni di euro), di idee, di soggiorni di mesi e mesi in questa foresta poco sotto l'equatore che era stata scelta dalla Francia non per un Club Méditeranée, ma per la colonia penale poi raccontata da Charriere-Papillon. Non propriamente un paradiso tropicale, insomma, come ricordano gli stormi di zanzare, che non sanno leggere il certificato di vaccinazione per la febbre gialla e nemmeno sono abbattibili con i fucili mitragliatori, in dotazione soltanto ai soldati della Legione straniera che tengono tutto sotto controllo. Di più: prima di arrivare alla collinetta di osservazione Agami (ben esposta ai soliti 30 gradi all'ombra e all'umidità vicina al 100%, aiutata da continui acquazzoni) ti insegnano anche a usare una maschera antigas, perché a volte (più della metà, dice un'incoraggiante statistica) in questi lanci di prova qualcosa va storto e cade una (testuale sul depliant) «leggermente spiacevole pioggia acida».

Pioggia acida? Ma siamo a 7,5 chilometri dalla rampa. L'addetto alla sicurezza allarga le braccia. «Una soddisfazione così - dice Fanfoni, mettendo in tasca il fazzoletto - on avrei mai creduto di provarla. Sono addetto al controllo-qualità: devo accertarmi che ogni operazione (occhio e croce qualche milione, ndr) venga effettuata secondo i protocolli. Vedere che Vega ha funzionato alla perfezione ripaga davvero di tutti i sacrifici. La tensione era altissima perché puoi fare tutte le simulazioni del mondo, ma fino a che non accendi quel booster con decine di tonnellate di combustibile non sai che cosa accadrà: anni di lavoro possono andare in fumo in un attimo». Anche Ivano La Mura, 35 anni, e Maurizio Cesaritti, 32, sono qui in trasferta dall'Avio di Colleferro e si occupano dell'elettronica del «lanciatore»: sono cresciuti nella valle del Sacco seguendo da bambini l'epopea dei razzi Ariane, anche se come accade invece per tanti dipendenti della maxifabbrica i loro nonni o i loro padri non hanno costruito granate alla Bpd nella stessa zona dove adesso nasce il Vega.

«Siamo arrivati quattro mesi fa per l'ultimo ciclo di controlli», raccontano mentre i colleghi cantano Fratelli d'Italia davanti ai silenti «alleati» francesi (facce tipo: quanta strada ha fatto Bartali) e anche «Siam venuti fin qua per vedere volare Vegà». «Non ci pare vero continuano i due tecnici che tutto sia andato a meraviglia: ora passa la fatica, passa la nostalgia di casa che qui si può fronteggiare solo con Skype. Qui a Kourou restiamo alla base tutto il tempo. Altro da fare nella foresta, come avrà visto, non c'è. Gite? Anche solo a dirlo: "Vado a fare un giro a Cayenne" non suona bene. Invece adesso pare di stare in paradiso, un paradiso italiano».

Svelti, allora, una foto prima che i pullman ci riportino alla centrale di controllo Jupiter, ancora più in là nella giungla: Fanfoni, La Mura e Cesaritti si allineano, ma arrivano di corsa Riccardo Valle, Francesco Capri, Alessandro Giansanti, Maurizio Cutroni, Riccardo Iannuzzi, Mario Quondamsanti, Fabio Tamburello... Da Kourou tutta Colleferro è salita in orbita. 

Il commento di Aurelio Picca il 13 febbraio 2012

DI noi italiani possono dire di tutto e il contrario, ma quando come bambini testardi ci mettiamo una grande impresa in testa il sogno alla fine si avvera. Dalla base di Kourou, nella Guyana francese (ricordate «Papillon», con il sogno di libertà di Steve McQueen che si realizza quando si getta con un salvagente di gusci di noci di cocco nell'oceano Atlantico?), è partito verso lo spazio un missile, un vettore, un razzo. Chiamatelo come volete. Insomma il cielo l'ha conquistato un giocattolo italiano progettato dall'ingegnere aereospaziale Luigi Broglio, colui che, cinquanta anni fa, insieme agli americani aveva già catapultato nella stratosfera il San Marco.

Broglio, veneziano di nascita, romano d'adozione; stimatissimo alla Nasa, con un centro spaziale in Kenya intitolato a suo nome. Mi viene facile scrivere che gli italiani hanno battutto anche Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio, ma pure gli spaziali successivi: Alien, Apollo 13, Star Trek, Armageddon. Infatti non solo il 2001 è data vecchia, ma è roba vecchia soprattutto quel mutismo e lentezza da zombie mentali dentro atmosfere simulate. Noi, gli italiani che non a caso hanno avuto uno scrittore che ha inventato Pinocchio (bambino di legno che parla come uno in carne e ossa e anima) con la nostra maestria mai morta di artigiani lenti e cocciuti abbiamo superato in un colpo ogni prototipo per costruire, nella Avio di Colleferro, il missile Vega. Con il Vega la manualità ha battuto i sistemi globali, come se una piccola squadra di calcio juniores abbia steso il Resto del Mondo.

Mi viene da pensare che questo missile, con genialità, sembra inventato sia per sfilare al carnevale di Viareggio, sia per mettere in crisi cervelloni e detrattori che si illudono di metterci sotto. Era dagli anni Novanta che Luigi Broglio stava studiando il «giocattolo italiano». Poi, partita l'idea, la sfida, il missile si è andato assemblando a Colleferro (ex zuccherificio, ex polveriera, Snia dal 1968), in questo paese a pochi clilometri da Roma ma anche da Segni, da Gavignano (Bonifacio VIII si dice sia nato qui), da Anagni e infine dentro la Ciociaria che non a caso è una terra fatta di acque e soprattutto di cieli.

Nei giorni scorsi pure la cittadina lepinica è stata ricoperta dalla neve. E siccome il decollo del vettore aveva il cervello qui, alla Avio, i tecnici, gli astronauti, gli ingegneri, le maestranze hanno bloccato il respiro alle 11,00 ora italiana, quando il razzo si è staccato dal suolo.

In Guyana c'erano la rampa e il missile ma il pulsante era qui. Era a Colleferro, in questo borgo laziale proprio ai piedi dell'Appennino, all'inizio del triangolo delle province di Roma, Frosinone e Latina. Allora per godersi meglio lo spettacolo, nei giorni scorsi, i volenterosi si sono messi a spalare affinché sul maxischermo apparisse Vega, che è pure il nome della seconda stella più luminosa dell'emisfero boreale. C'è da aggiungere che la festa e l'entusiasmo per l'impresa si è gustata in piazza Italia. Giorgio De Chirico ha dipinto le Piazze d'Italia. Come i suoi quadri anche quella di Colleferro è immobile (torre, colonnato, marmo, geometria). In realtà è stata immobile e zitta fino a quando non è partito il razzo. Poi si è trasformata in un cuore elettrico. Senza retorica: la pompa degli italiani batte forte quando i sogni da realizzare sono impossibili. Per gli altri.

Vega, l’infallibile razzo italiano che vola low cost, l'ingegnere Scardecchia: «Così resterà sempre il migliore»

Nella notte di martedì 20 novembre 2018 dallo spazioporto di Kourou nella Guyana francese è stato lanciato per la 13a volta un razzo Vega progettato e costruito al 70% dall’Avio Spacelab a Colleferro (Roma) per conto di ArianeSpace e dell’Agenzia spaziale europea e con il coordinamento dell’Agenzia spaziale italiana. Ha portato in orbita il satellite Mohammed VI B che il Marocco userà per l’osservazione della Terra. Nella storia della missilistica mondiale nessun razzo ha compiuto una tale sequenza perfetta di lanci come quella scritta da Vega dal 2012.

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In volo nello spazio a prezzi low cost e con sconti last minute, ma con trattamento da business class, anzi da top class perché il razzo Vega porta ogni passeggero - uno per uno - direttamente a casa, alla quota giusta in orbita attorno alla Terra.

Ingegnere capo Ettore Scardecchia, i satelliti fanno la coda per volare con il lanciatore italiano Vega costruito dall'Avio.
«Grazie, ce la caviamo in un mercato in forte e continua espansione - risponde il responsabile del prodotto nello stabilimento di Colleferro (Roma), 48 anni, sposato, due figli, laurea a Tor Vergata - con poderosi concorrenti americani (di stato o privati come Nasa, Space X e Blue Origin) e russi, giapponesi, cinesi e indiani: ogni anno ci sono dai 60 agli 80 lanci in tutto il mondo».

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L'ingegnere capo Ettore Scardecchia

Però nessuno di questi giganti, nella storia mondiale dei missili, ha mai realizzato un lanciatore - razzo - affidabile come Vega: 12 missioni su 12 dal 2012 senza il minimo intoppo.
«E ci sono poche cose così complesse come far volare un razzo: così è chiaro che l'affidabilità diventa la prima questione a cui guarda chi deve mandare in orbita costosi satelliti. Lo stesso vale per chi punta su noi in Borsa (dal 2015, ndr)».


L'a.d. di Avio Spacelab, Giulio Ranzo

E poi ci sono i bassi costi?
«Sì, con Vega si spendono dai 25mila ai 40mila euro per ogni chilogrammo portato in orbita. Ma vogliamo fare ancora meglio».

In che modo?
«Più carico pagante nello spazio, ovvero dagli attuali 1.500 chili di Vega ai 3.000 chili del Vega E con motori più potenti, ma senza aumentare troppo il peso del razzo grazie all'affinamento ulteriore delle tecnologie del filato di carbonio e dei carburanti».






In azienda si è rapiti dalla danza dei telai-robot che avvolgono giganteschi cilindri (mandrini alti 12 metri dal diametro di 3,4) con 2.800 chilometri di filo di carbonio per costruire gli stadi di Vega, i P80 e P120 e gli Zefiro.
«All'Avio - dove l'ingegnere Scardecchia lavora da 15 anni guidando anche la plurimedagliata squadra podistica aziendale - abbiamo portato all'eccellenza questa tecnologia che ci fa risparmiare due terzi del peso rispetto ai motori (stadi) tradizionali costruiti in banda di acciaio».

Sembrano dei bozzoli di farfalla.
«Sono enormi, leggerissimi e sicuri bozzoli al cui interno si sprigionano tuttavia temperature superiori ai 2.000 gradi, mentre la parete esterna non raggiunge i 100 grazie anche a una sorta di gomma, sempre ideata all'Avio, che fodera l'interno dei motori e assorbe tutto questo calore nonostante uno spessore di 3 centimetri. A questo formidabile risparmio di peso, prerogativa a questi livelli solo di Vega, si aggiunge la professionalità dei tecnici che da due generazioni a Colleferro si sono specializzati nel caricare gli stadi con propellenti solidi. Qua costruiamo con orgoglio i motori monoblocco più potenti del mondo che, dalla fine degli anni Settanta, spingono in orbita anche i razzi Ariane per i quali realizziamo anche i booster, i vettori ausiliari».



Orgoglio come quando cantaste Fratelli d'Italia il 12 febbraio 2012 davanti agli amici francesi, che gestiscono lo spazioporto di Kourou nella giungla amazzonica della Guyana, per festeggiare il primo lancio di Vega?
«Proprio quello: Vega, va ricordato, nasce in ambito Esa con l'accordo di sette paesi europei che tuttora dà ottimi frutti, ma il contributo italiano è preponderante. In azienda siamo diventati da 700 a 900 in pochi anni e dai "veterani" ai più giovani si prova un forte senso di appartenenza e di comunanza nel fare il proprio compito sempre nel modo migliore. Ed è bellissimo poter rappresentare l'Italia, e diciamo pure guidare l'Europa nella competizione con concorrenti così forti. Restare al vertice di un mercato talmente esasperato richiede sacrifici, ma ne vale assolutamente la pena».


13 febbraio 2012, Kourou, i tecnici dell'Avio in festa per il successo del primo lancio (Foto Paolo Ricci Bitti) 
 
Il prossimo motore, l'M10, appena testato con successo, non sarà più a combustibile solido?
«No, sarà un ecomotore a metano e ossigeno. Con questo propulsore, che permette più accensioni, equipaggeremo dal 2024 su Vega E un terzo stadio che di fatto riassumerà gli ultimi due stadi dei Vega attuali».
 


Sempre per risparmiare peso per un razzo di 140 tonnellate e alto 30 metri?
«Sì, certo, ma non solo. Già adesso possiamo agganciare, nell'ambito della stessa missione, fino a cinque satelliti in cinque orbite diverse da 700 a 2.000 chilometri di altezza. Con Vega E raggiungeremo i 6.000 chilometri con la possibilità di collocare decine di satelliti ognuno alla sua quota. Prevediamo già un lancio con 97 passeggeri: 7 satelliti da 300 chili e 90 cube-sat (piccoli satelliti) installati su dispenser o torrette molto versatili».



Qualcuno ha ribattezzato Vega la scuolabus dello spazio.
«E' azzeccato. Grazie a questa capacità unica di imbarcare più clienti fino a quote diverse, potremo fare sul mercato anche offerte last minute, noi che già abbiamo prezzi low cost. Ecco, mettiamo che qualche mese prima del lancio si apra la possibilità di prendere a bordo qualche altro satellite per raggiungere il massimo carico disponibile: Vega potrà allora offrire questo posto ad altri clienti».

Magari anche agli atenei e agli enti di ricerca non solo italiani che fin dal primo lancio si rivolgono a Vega?
«Certo: dei satelliti non è più possibile fare a meno e così business e ricerca scientifica sono sempre intrecciati in queste missioni».



Epperò in fatto di motori per razzi vale un po' quello che vediamo per le automobili: non si vedono convincenti alternative veramente a portata di mano.
«Per superare l'attrazione terrestre bisogna per forza raggiungere la velocità di 28.800 chilometri l'ora. Quindi serve un'enorme potenza che per ora solo i propellenti tradizionali possono garantire. Scartata l'energia nucleare e in attesa di vele solari o motori a impulsi laser, credo che in una decina d'anni avremo notevoli motori elettrici, ma da usare solo una volta in orbita o magari da una base lunare per raggiungere sempre magari Marte dove forse potremo trovare il metano che già useremo anche per Vega».

Vega è un razzo usa e getta, mentre Musk e Bezos già recuperano gli stadi dei loro razzi.
«E sono bravissimi a farlo: è la strategia del futuro a cui guardiamo anche in Avio, ma per adesso, conti alla mano, non c'è nulla che dica che in questo modo si ottengano risparmi».

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Ultimo aggiornamento: Sabato 12 Febbraio 2022, 21:14
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