Fausto Gresini, un pilota nell'animo che aveva pianto per Kato e Simoncelli

Fausto Gresini, un pilota nell'animo che aveva pianto per Kato e Simoncelli

di Flavio Atzori

Come è sottile quel filo di chi ha deciso, per proprio animo, di vivere la propria vita in sella a due ruote. Sempre in bilico, per vincere contro il tempo, contro il mondo, contro la vita, contro il destino. E' questa la vita che un pilota sceglie. E lo fa anche quando decide di togliersi il casco. Fausto Gresini è sempre stato un pilota nell'animo. Ha sorriso alle vittorie proprie e dei propri piloti, ma la vita lo ha portato anche a piangere lacrime amare per i suoi due pupilli, Daijiro Kato e Marco Simoncelli, che ha visto diventare immortali tra i cordoli di Suzuka e Sepang. Stavolta però, la signora in nero ha chiamato lui. Quel covid maledetto contratto a Natale, che più volte sembrava essere stato sconfitto in queste settimane, lo ha beffato.

LA CARRIERA DA PILOTA
Faceva parte di quella generazione di fenomeni che l'Italia aveva mostrato al mondo negli anni Ottanta. Conobbe il dolce sapore della vittoria e dei titoli mondiali. Il primo, nel 1985 con tre vittorie, il secondo nel 1987, con una cavalcata trionfale: 10 vittorie in 11 gare. Nel mezzo, una lotta serrata con Luca Cadalora. Corse per se, con quel sano egoismo che solo i campioni hanno, ma i giornali e le cronache ricordano anche quel singolare altruismo che, in seno al team Pileri, lo portò ad aiutare un giovanissimo Loris Capirossi a vincere il mondiale.

 



LA GRESINI RACING
Fausto però era tanto veloce quanto intelligente. Nel 1997 fece debuttare la sua squadra in classe 500. Il pilota era un giovane quanto veloce brasiliano. Alex Barros con una Honda bicilindrica. Nel 1999, decise di scendere in 250cc e ingaggiare Loris Capirossi. Iniziarono ad arrivare le vittorie, prima con l'imolese, poi con uno sconosciuto Daijiro Kato, pupillo Honda. Nel 2001 arriva trionfante il primo titolo mondiale proprio con questo simpatico giapponese.

Il segreto del successo? L'ambiente familiare in quel box dipinto di blu che faceva base a Rimini. I sorrisi, gli abbracci sui podi, poi la scalata di nuovo in classe regina, per puntare al titolo dei grandi. Sembrava un cammino avviato per Fausto, Daijiro e la sua squadra. Un cammino maledettamente spezzato a Suzuka nel 2003, quando il nipponico si schiantò all'ingresso della chicane finale del tracciato, e perì per le lesioni riportate. Un dolore enorme, consolato dai risultati conquistati con Sete Gibernau in quei primi anni di MotoGP.


GLI ANNI DEL SIC
Le stagioni a seguire furono caratterizzate dall'approdo di talenti come quelli di Marco Melandri, di Toni Elias, ma sopratutto di Marco Simoncelli. Il percorso di crescita che Fausto era riuscito a creare con quel riccioluto di Coriano aveva portato il sereno in quella squadra. Eppure, beffardamente, ancora una volta, la morte fece capolino, il 23 ottobre 2011 in Malesia. Un dolore straziante, talmente stordente da essere complicato anche da raccontare. Forse, basterebbe semplicemente sottolineare come chi vive le moto nell'animo, sa che la Signora in nero è una compagna che, talvolta, fa capolino. La realtà è che, nel momento in cui si presenta, fa sempre male. Le lacrime di Fausto ne erano manifesto. La sua levatura però, era sottolineata dall'eleganza e dai modi sempre pacati con cui riusciva a tenere salda la propria squadra, la propria creatura, e guardare avanti. Prima l'accordo con Aprilia, poi la volontà di tornare indipendente. Da quel maledetto letto d'ospdedale di Bologna pensava già al 2022. Non la voleva dar vinta alla Signora in nero che stavolta, aveva puntato lui. Ed invece, ecco il colpo di coda della Bestia, il crollo improvviso quando addirittura erano iniziate le terapie di recupero all'ospedale di Bologna. Ora riposati Fausto. Il destino stavolta ha vinto. A correre ci penserà il Team Gresini, testimonianza perfetta di quel cuore, e di quella tua passione che rendono immortali.


Ultimo aggiornamento: Martedì 23 Febbraio 2021, 11:34
© RIPRODUZIONE RISERVATA