Gianluca Vialli, il ricordo dell'amico ristoratore di Londra: «Quel tavolo rimarrà sempre suo, ecco cosa amava mangiare»

Nel ristorante di Lucio Altana, in zona Chelsea a Londra, Vialli aveva il suo posto sempre riservato

Video

di Luca Uccello

«Io e Gianluca Vialli eravamo amici, ci conoscevamo dagli anni novanta». Un’amicizia rispettosa. Di quelle che si vivono, non si raccontano. Ma ora è diverso. Luca non c’è più. E il dolore, lo sconforto prendono il sopravvento. Nel ristorante di Lucio Altana, in zona Chelsea a Londra, pochi minuti dallo Stamford Bridge, Vialli aveva il suo posto sempre riservato. Un tavolo nell’angolino, vista Fulham Road. «E quello resterà per sempre il suo tavolo». Ci andava spesso da Lucio. Ci andava con la famiglia, con amici, tanti giocatori, tanti ex juventini a un certo punto della sua vita. Un ristorante che conosce e frequenta anche Trevor Francis, ex sampdoriano come Vialli. «Trevor mi ha raccontato tanto di Gianluca. Erano sempre loro due più Roberto Mancini. Quante ne hanno combinate insieme…».

Quando ha visto l’ultima volta Gianluca Vialli?

«Il mio ricordo più vicino è qualche giorno prima di Natale, è passato, ci siamo salutati. Aveva un viso sofferente, ma sempre sorridente. Non ne voleva sapere di perdere lui. Questo è il mio ultimo ricordo di lui».

Una persona riservata, era libero da giornalisti, dai tifosi. I tifosi del Chelsea lo amavano… Da quanto tempo lo conosceva?

«Io Gianluca lo conosco dagli anni 90 poi nel 2003 lo vedovo con maggior frequenza. Abitando qui dietro veniva spessissimo con la famiglia, con le sue figlie e tante volte anche da solo. Soprattutto nell’ultimo periodo quando stava male. Mi chiamava poco prima di uscire di casa e di venire qui a piedi. Aveva bisogno di arrivare e mangiare per poi prendere le sue medicine. Aveva orari precisi. Spaghetti integrali alle vongole con aglio in camicia. Prima, se la pasta non era ancora pronta gli preparavo un’insalata che ho battezzato: insalata Vialli. Lattuga, carote, pecorino e pere. Poi un sorbettino al limone e andava via a casa. Poi col passare dei mesi…».

Cosa è successo?

«A un certo punto non è più venuto a mangiare. Si è sentito in dovere quasi di scusarsi. È passato da qui e mi ha detto: “Lucio ho il diabete che mi impedisce di poter mangiare tante cose…”. Io gli risposi: Io sono qui che ti aspetto.

Torna presto».

 

Cosa perde il calcio?

«Gianluca era un signore. Un signore in tutto come uomo, come giocatore. Una persona buona, difficile da dimenticare».

Con lui ha mai parlato della malattia?

«Durante gli Europei sono stato operato per un problema al colon. Ci siamo scambiati un paio di messaggi di auguri, poi di congratulazioni per quello che era riuscito a fare con la nostra Italia. Quando sono tornato al lavoro un giorno è venuto a trovarmi e seduti nel suo solito tavolo abbiamo parlato di tutto. Di come si superano certi momenti. Il dolore, la paura. Come si convive con tutto. Come bisogna essere forti. E lui lo è stato fino all’ultimo».

Quel sorriso era contagioso?

«Non ha mai fatto vedere che stava male. Mai. Ci siamo parlati tante volte ma non l’ha mai fatto per cercare compassione. Lui cercava la forza in ogni persona che incontrava. E in me credo che l’abbia trovata come io l’ho trovata in lui…».

Lei ha conosciuto anche il Vialli papà…

«Un padre fantastico. Con Sonia e Sofia, che ho visto crescere, veniva qui a pranzo tante volte. Solo loro tre. Che ridere. Quante risate tra di loro. Gianluca sembrava un fratello maggiore non solo il loro papà, una guida sicura. Giocava sempre, scherzava tanto».


Ultimo aggiornamento: Martedì 10 Gennaio 2023, 21:36

© RIPRODUZIONE RISERVATA