Nazionale, Kean: l'impresa dei millennials

Nazionale, Kean: l'impresa dei millennials

di Emiliano Bernardini
 Il 2000 ha da sempre attirato curiosità e pensieri. Immagini futuristiche che si sovrapponevano ad un mondo decisamente più terreno. L’obiettivo sempre lo stesso: abbattere le barriere. Nella testa di tutti sono sempre state legate ai confini. Lo spazio. L’immagine rappresentativa del calcio 2(mila).0 ha la faccia allegra di Moise Kean. È lui l’emblema delle differenze che non esistono. Dei costrutti mentali che cadono di fronte ad un gol. Di quei muri invalicabili che vengono spianati da un ragazzo con la maglia azzurra sulle spalle. In un momento in cui lo ius soli è l’argomento principale della politica, il calcio italiano dimostra ancora una volta di essere più avanti. Con buona pace di quei cretini che allo stadio continuano a fare buu razzisti. Diciamolo una volta per tutte: Kean è italiano. Lo è al cento per cento. Da sempre. È nato a Vercelli da genitori ivoriani, con passaporto italiano. Ecco perché per lui la questione della cittadinanza non si è mai aperta. 
NIENTE BARRIERE
Certo il dibattito, purtroppo, è sempre aperto. Kean, sarà per via di quel nome che richiama Mosè, ha aperto le acque traghettando l’Italia nel futuro. Un futuro in cui tutti sono uguali. «Io non ho mai avuto problemi, sono nato qua, in Italia, ed i miei genitori ci abitavano da più di 30 anni: così ho avuto subito la cittadinanza. Mi dispiace di tutto ciò che sento: alla fine, se stiamo tutti nello stesso paese bisogna essere trattati tutti come italiani. Non ci devono essere diversità...», sottolinea l’attaccante dell’Italia e della Juventus. Della serie, avere 19 anni e dimostrarne già molti di più. Chiuse le inutili questioni legate a cittadinanza e colore della pelle, quella che davvero ha ragione d’essere è legata al come far crescere nel migliore dei modi un talento così puro senza che si perda. Insomma come evitare un nuovo caso Balotelli. Già, quel Supermario che per forza di cose ha ispirato Kean («Mario mi ha sempre dato grandi consigli, mi aiuta nei momenti difficili e mi dice dove ha sbagliato lui») e che oggi gli viene sempre accostato. Vuoi per quell’esultanza dal ritmo hip hop («Lo faccio spesso con i miei amici, mi è venuto spontaneo»), vuoi per le movenze, vuoi perché in comune hanno anche il procuratore: Raiola. Due punte centrali che per il Ct Mancini «possono benissimo giocare insieme». Senza dimenticare che «è vero che è prima punta, ma essendo così giovane può lavorare anche da esterno di destra o di sinistra». Gioca con la spensieratezza di chi non si preoccupa dei giudizi degli altri. Sa chi deve ascoltare. Corre come il vento verso la storia. Quella in cui è entrato di prepotenza, sabato sera, segnando la seconda rete più «giovane» nella storia del calcio azzurro: la prima è di Nicolè, la terza, invece, di un certo Rivera. Ma è il primo in assoluto in gare ufficiali. 
NESSUN LIMITE
Di record ne aveva già collezionati diversi con la Juventus. La squadra che lo ha scelto quando aveva appena 10 anni. Un predestinato: primo 2000 a esordire e poi a segnare in Serie A ed è suo anche il debutto in Champions League. La Vecchia Signora si coccola il suo enfant prodige. Gli dedica anche un tweet: «Esordire con gli Azzurri e segnare? Semplicemente orgogliosi di te». Ha delle ali tatuate perché è uno che vuole volare sempre più in alto pur restando ancorato ai veri valori, la famiglia in primis. «Dedico il gol ai miei genitori perché è anche grazie a loro che sono qui. Avevo sempre sognato un debutto così e adesso si è realizzato. Gioco poco, ma lavoro duro in allenamento per giocare duro ai massimi livelli e penso di essermi fatto trovare pronto». E pensare che la maglia con cui ha giocato l’ha scambiata con un avversario. Chissà, magari non aveva pensato di essere nella Storia. O più semplicemente è stato spontaneo in quel gesto. E poi basta prendere tutto con il sorriso: «La maglia del debutto l’ho scambiata, ma tanto ce ne danno due quindi una da conservare ce l’ho». Ieri è il passato, oggi si pensa già alla sfida di Parma, ma il domani è fatto di 4 lettere: Kean. È su di lui che Mancini vuole costruire il futuro. E c’è anche la cabala che aiuta a superare ogni scaramanzia: dal 28 febbraio 2000, giorno della nascita di Moise, l’Italia è imbattuta nelle 48 gare giocate in casa valide per manifestazioni ufficiali. Lo score è di 36 successi e 12 pareggi.

Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Marzo 2019, 09:30
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