Costacurta: «Mancini ct lo scelsi io quasi per caso, ma ha stupito anche me»

Costacurta: «Mancini ct lo scelsi io quasi per caso, ma ha stupito anche me»

di Ugo Trani

dal nostro inviato
FIRENZE Magari qualcuno lo avrà dimenticato, essendo già passati tre anni abbondanti dall’insediamento. Non il presidente del Coni Giovanni Malagò: «Mancini è stata un’idea di Costacurta». Già, proprio di Alessandro che nel calcio chiamano da sempre Billy, colpa della Milano del basket e non di quella del pallone. In Nazionale, iniziando poco meno di 30 anni fa, ha giocato 59 partite. A convocarlo fu Arrigo Sacchi che lo abituò a vincere in rossonero: scudetto e 2 Champions (in carriera ne ha conquistate 5). Con l’Italia ha perso, da panchinaro, la finale mondiale di Usa 94 ai rigori con il Brasile. Non c’è, insomma, da stupirsi se l’attuale opinionista (o se volete, talent) di Sky Sport abbia scelto il ct della resurrezione dopo il flop di Ventura nel novembre 2017, addio Russia 2018.
Complimenti, allora.
«Grazie, ma sarò sincero. Non fu difficile. A disposizione c’erano tre miei amici. Tre grandi, sarei caduto comunque in piedi. Non potevo sbagliare avendo davanti il meglio del nostro calcio».
Può svelare chi fossero i suoi candidati?
«Conte, Mancini e Ancelotti. Li ho contattati, ma l’unica apertura è arrivata da Roberto. Tra l’altro subito entusiasta. Antonio era bloccato dal Chelsea, Carlo mi spiegò che preferiva allenare ancora ogni giorno».
Gran colpo, almeno a vedere i risultati del primo triennio.
«Di più. Ha stupito anche me. Spesso sento dire la stessa cosa: nessuno si aspettava che Roberto facesse un lavoro del genere».
Come lo avvicinò?
«Casualmente. Marzo 2018. Ci trovammo nello stesso albergo, a Roma. Mi avevano appena nominato sub commissario della Federcalcio. Lui era di passaggio con lo Zenit. Prendemmo un caffè e gliela buttai lì. Io lo conoscevo da sempre, abbiamo vinto insieme il mondiale militare nell’87. Questo per capire quanto era profonda la nostra amicizia, a prescindere dai duelli in campo».
Adesso può spiegare perché è andato deciso su Mancini?
«Tre motivi. Il primo: ha le spalle larghe per reggere la pressione che c’è in Nazionale, essendoci passato da giocatore, so che cosa significa. Il secondo: è selezionatore e allenatore nello stesso ruolo, sa stare su quella panchina anche con spavalderia. Il terzo: il gusto del bel gioco. In più sapevo che voleva lasciare la Russia».
È stata una scelta rischiosa?
«No. Mirata. La Nazionale aveva chiuso le qualificazioni mondiali con prestazioni pessime. I segnali, ormai da mesi, erano preoccupanti. Ero convinto che con Roberto avremmo ritrovato in fretta gioco e coraggio. Anche presunzione. Quando fummo eliminati dalla Svezia, vidi la Svizzera in trasferta dominare contro l’Austria. Mi sono chiesto subito: perché non possiamo farlo anche noi? Meno male che qualche mese dopo incontrai Roberto».
Ha avuto ragione: Mancini si è sbrigato. Che cosa ha funzionato meglio nella sua gestione tecnica?
«Decisiva la sua serenità. Che viene dall’esperienza. Poi la capacità di individuare il giocatore. Prendete Zaniolo: lo ha convocato prima di vederlo esordire con la Roma. E ne ha chiamati altri che nessuno considerava già pronti per la Nazionale».
Una curiosità: qualcuno gli ha riconosciuto l’intuizione?
«Sì, soprattutto nel nostro ambiente e chi stimo. Io, però, ho fatto solo il mio lavoro. E, a essere sincero, sono più felice dell’esplosione del calcio femminile. Da difensore dico che quello era il momento di intervenire a gamba tesa. E in questo senso Gravina è stato tra i più propositivi».
A proposito: l’Italia non subisce gol da 785’. Equilibrio o che cosa?
«Anche qui è stato bravo Roberto con il coinvolgimento totale della squadra. Sapeva di non avere i difensori migliori del mondo, ma che comunque si conoscevano tra loro. Il pressing e l’aggressività lo hanno aiutato. La Nazionale è corta e io ne so qualcosa».
Sacchi portò a Milanello l’“elastico” proprio per voi difensori. Spieghi a chi non ha vissuto quell’epoca che novità fu?
«Il movimento delle linee in contemporanea. Su e giù. La difesa che seguiva la squadra in avanti, senza mai restare bassa per non dare spazio agli avversari. Scappavamo indietro solo sulle verticalizzazioni. Squadra corta, insomma. Come chiede Mancini».
Ma l’Italia è davvero tra le favorite di questo Europeo?
«No.

Davanti ha sicuramente la Francia, il Portogallo e l’Inghilterra. Loro schierano giocatori che hanno più esperienza dei nostri, appartenendo a grandi club. La Nazionale di Mancini può diventare la sorpresa. Parte, però, in seconda fascia. Le rivali sono più forti e sono mancate le amichevoli proprio contro le big».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 11 Giugno 2021, 19:43

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