Calcio, Guglielmo Stendardo: «In Italia 6 ex calciatori su 10 sono a rischio povertà»

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di Marco Lobasso
Il fenomeno è allarmante e i dati non lasciano dubbi: il 40 per cento dei calciatori professionisti in Europa è a rischio povertà dopo cinque anni appena dal ritiro e questo numero in Italia sale fino al 60 per cento. Percentuali allarmanti, che mettono a nudo una delle piaghe del mondo del pallone nostrano. Sono circa 3000 i giocatori professionisti impegnati in serie A, B e Prima divisione, ma appena il 10 per cento di loro guadagna bene; gli altri, e sono tanti, devono comunque iniziare a lavorare nel post carriera. 

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Preoccupa soprattutto il fatto che questi numeri siano in costante aumento e che il mondo del calcio italiano faccia ancora troppo poco per invertire questa drammatica tendenza. Ne è convinto Guglielmo Stendardo, 228 partite in serie A tra Lazio, Juve, Napoli e Atalanta, avvocato dal 2012 e docente alla Luiss in diritto sportivo. «In Italia il giovane calciatore tende a trascurare l’istruzione e non si preoccupa di studiare e formarsi per il futuro. Quasi sempre, tra i 20 e i 35 anni, pensa a giocare solo al calcio. In più, fino a quando è in attività, tende a seguire un tenore di vita alto che i buoni guadagni gli permettono. Il ridimensionamento, poi, è complicato e iniziano i disastri».
I dati sono da brividi e si fa fatica a immaginare tanti calciatori in difficoltà economiche. «È chiaro che non è solo un problema di istruzione e di tenore di vita esagerato - continua Stendardo -; nelle crisi finanziarie di tanti colleghi incidono anche i costi sanitari alti che i calciatori devono sostenere a fine carriera e la scarsa attenzione che mettono verso i problemi del Fisco. La scelta di un commercialista preparato e affidabile è alla base nell’attività del calciatore, sia dei big sia dei tanti atleti di serie B e di Prima divisione. Si tende ad attribuire poca importanza ai problemi fiscali, invece sono fondamentali. Trascurandoli tornano ingigantiti negli anni a venire e diventano micidiali».
 
 


I casi famosi di investimenti sballati di grandi calciatori hanno insegnato poco. «Purtroppo sì. Serve conoscenza, non solo cultura. In troppi trascurano le più elementari regole degli investimenti. Spesso sono errori grossolani di valutazione, ma di frequente sono anche scelte di manager e agenti senza scrupoli che non fanno gli interessi dei giocatori ma li conducono a rovine finanziarie».

In un quadro così inquietante ci vuole tanta onestà intellettuale da parte degli operatori del mondo del calcio. «Serve rispetto delle regole e onestà nell’affrontare i problemi. Ma, soprattutto, serve una rivoluzione culturale in questo sport - conclude l’ex difensore biancoceleste che oggi si diverte a giocare ancora tra i dilettanti, nel team della Luiss -. Bisogna aiutare i giovani calciatori a studiare, a informarsi, a prepararsi in tempo e adeguatamente per il futuro nel mondo del lavoro. Non è possibile che il 70% dei nostri giocatori abbia la terza media e solo l’1% sia laureato. Inoltre, serve un fondo di accantonamento per almeno 5 anni per dare serenità economica agli ex calciatori che iniziano una nuova attività; serve creare polizze vita che offrano rendite vitalizie per gli atleti. Spero che Figc e Lega vogliano imboccare questa strada, fondamentale per il futuro dei calciatori italiani. E bisogna fare presto, i dati sono già drammatici».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 18 Novembre 2019, 16:10

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