Settant'anni fa il Maracanazo, il dramma popolare del Brasile che perse il suo Mondiale del 1950, beffato dall'Uruguay

Settant'anni fa il Maracanazo, il dramma popolare del Brasile che perse il suo Mondiale del 1950, beffato dall'Uruguay

di Massimo Sarti
In 70 anni i calciatori del Brasile sono stati in grado di diventare “pentacampeões”, ovvero di issarsi per cinque volte in cima al Mondo. Didì, Vavà, Pelé, Garrincha, Amarildo, Rivelino, Romario, Bebeto, Ronaldo “il Fenomeno”: ecco i nomi più altisonanti (la serie potrebbe essere ben più lunga) che hanno dato ad un Paese che ha da sempre il pallone tra i piedi, la gioia più grande possibile. Cinque gioie, che hanno tutte un'origine tragica, perché di tragedia popolare si trattò: il “Maracanazo”. Sta per compiere 70 anni la partita forse più iconica dell'intera storia del calcio, per le implicazioni che ebbe su un'intera Nazione. Il 16 luglio 1950 l'Uruguay batté 2-1 la Seleçao, rovinando ai padroni di casa un Mondiale che il Brasile si era fatto promettere dal presidente della Fifa Jules Rimet sin da dopo l'edizione francese del 1938, la seconda di fila conquistata dall'Italia. Ma nel 1942 tutto saltò, perché il globo era sconvolto dalla guerra.

Un Mondiale che nel 1950 il Brasile doveva vincere. A tutti i costi. La stampa consacrò campioni Zizinho e compagni ben prima dell'ultima partita del girone finale. E sì, perché quel Brasile-Uruguay non fu una formale finalissima. Tanto che alla Seleçao, che aveva vinto 7-1 (con poker del bomber Ademir, alla fine capocannoniere del torneo con 8 centri) e 6-1 le precedenti partite del raggruppamento, rispettivamente su Svezia e Spagna, sarebbe bastato il pareggio. La Celeste era reduce invece da un 2-2 con la Spagna e da un 3-2 sulla Svezia. La festa era data per automatica: al Maracanã di Rio de Janeiro, costruito (e in realtà non ancora del tutto ultimato) proprio per quei Mondiali, c'erano oltre 200mila persone, comunque ben più dei 170mila spettatori ufficiali. In quel momento in quel bollente e gigantesco catino c'era simbolicamente l'intero Brasile, impazzito al gol dell'ala Friaça, dopo due minuti di ripresa. Ma si svegliò l'orgoglio uruguagio, si svegliò la velocità di Alcides Ghiggia. Al 66' spunto fulminante e assist per il pari di Juan Alberto Schiaffino”, al 79' rasoiata micidiale che valse il secondo titolo iridato alla Celeste, dopo quello del 1930. Ghiggia e Schiaffino; c'è un po' di tricolore nel “Maracanazo”, ben più di quello che non seppe fare l'Italia (subito eliminata), che ancora pagava la tragedia di Superga e la scomparsa del Grande Torino. Ghiggia (l'ultimo dei 22 protagonisti a morire, nel 2015), la cui famiglia era originaria di Genova, avrebbe poi giocato nella Roma e nel Milan vestendo la maglia dell'Italia come oriundo. Lo stesso valse per la classe cristallina di “Pepe” Schiaffino: nonno ligure di Camogli, sei stagioni al Milan, due alla Roma e quattro presenze in azzurro.

Ma torniamo al Brasile e al suo dramma. Di dimensioni incalcolabili, che andò ben oltre i 34 suicidi e le 56 morti per infarto nell'immediatezza della partita. La leggenda narra che il capitano dell'Uruguay Obdulio Varela avesse trascorso la notte dopo il “Maracanazo” in giro per Rio, consolando la gente affranta per quell'autentico lutto nazionale. Sarebbe passata alla storia la frase pronunciata, qualche anno prima della scomparsa avvenuta nel 2000, dal portiere brasiliano del “Maracanazo” Barbosa, additato per decenni come il principale colpevole della disfatta: «Nel nostro Paese la pena massima è di 30 anni, ma io ne sto scontando più di quaranta per un crimine mai commesso».

Poi ci sono i paradossi della storia. Il progetto di utilizzare il Mondiale di calcio, da organizzare e da vincere in casa, per legittimare a livello popolare il proprio “Estado Novo”, partì dopo il colpo di Stato con il quale nel 1930 prese il potere (mantenuto sino al 1945 con anni di vera dittatura) Getulio Vargas. Diventato presidente nel 1950, vincendo questa volta libere e democratiche elezioni e sfruttando proprio lo sfacelo creatosi con il “Maracanazo”. Che ebbe un clamoroso bis nel 2014, con l'altrettanto famigerato “Mineirazo”, l'1-7 che il Brasile incassò a Belo Horizonte dalla Germania nella semifinale di un altro Mondiale organizzato, e non vinto, dal “Gigante del Sudamerica”. Una maledizione.

Cinque titoli mondiali non hanno cancellato in Brasile la memoria del “Maracanazo”. Nel bene e nel male, tutto iniziò 70 anni fa.    
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Luglio 2020, 07:00

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