Abdullah, il saudita innamorato dell'Italia che indossava il berretto del Frosinone durante la Supercoppa tra Lazio e Juventus

Abdullah, il saudita innamorato dell'Italia, che indossava il berretto del Frosinone durante la Supercoppa italiana: «Sono ciociaro al 100%»

di Nico Riva
Abdullah Kabbani, 24 anni, lavora per la Federazione Sportiva dell'Arabia Saudita. In occasione della finale di Supercoppa fra Juventus e Lazio, giocata a Riad lo scorso 22 dicembre, Abdullah si è presentato con un look che non è passato inosservato. Sugli spalti e a bordo campo, anche mentre parlava con Sarri, Inzaghi e con Cristiano Ronaldo, il ventiquattrenne indossava un berretto del Frosinone Calcio. Abbiamo quindi scoperto che Abdullah ha sviluppato negli anni una passione incontenibile per il nostro Paese e per il nostro calcio. Ma il suo cuore batte solo per il Frosinone. Non è dunque un caso che sui social Abdullah si definisca "ciociaro al 100%". L'amore per l'Italia l'ha portato anche ad imparare la nostra lingua, la nostra cultura e ad ampliare la sua collezione di maglie di squadre di calcio.

Il suo berretto del Frosinone durante la Supercoppa fra Juve e Lazio non è passato inosservato, soprattutto qui in Italia
«Il berretto me l'ha regalato un mio amico pisano il giorno della Supercoppa. L'ho messo per mostrare il mio attaccamento "ciociaro". Ora lo porto sempre con me, assieme a un braccialetto della squadra. Per me è un onore indossarli e portarli in giro per il mondo, far conoscere il Frosinone a tutti».
 

Quando è nato l'amore per il Frosinone?
«Nel gennaio 2018. Ero in viaggio nel Lazio e volevo andare a vedere una partita. Ho cercato su internet e ho visto che giocavano Frosinone e Pro Vercelli. Son andato allo stadio ed è stato amore a prima vista. Con la squadra, con la città e con i tifosi. A fine partita mi hanno anche riaccompagnato a Roma. Mi son sentito a casa, perché noi in Arabia siamo molto conviviali e accoglienti, e ho riprovato questa sensazione insieme agli abitanti di Frosinone». 

Ha viaggiato molto in Italia e segue anche altre squadre, vero?
«Sì, ad esempio sono stato a Bra, a Ferrara, in Toscana e in Veneto. Ho capito che il calcio provinciale è il calcio vero. Anche perché lo sport per me è stato il pretesto per imparare la cultura italiana».

In che modo?
«Ad esempio, tre volte a settimana vado a correre e ascolto nel mentre gli inni delle squadre, hanno tutti un sapore diverso. Ogni canzone rappresenta non solo la squadra ma la città, e ognuna ha le sue particolarità. Mi piacciono molto gli inni dell'Ascoli, del Lecce, del Padova e del Cosenza. Ma il mio preferito resta quello del Frosinone. "Non c'è storia, c'è soltanto una squadra, una maglia da onorare". Non hanno una grande storia come altre squadre, ma questa frase dimostra che sanno chi sono». 
 

Parla anche un ottimo italiano. Da quanto tempo lo studia?
«Da due anni. Qui a Riad ho un'insegnante siciliana e ci incontriamo ogni settimana. Mi piace anche essere dialettale. Quando viaggio non faccio il turista, ma cerco di mescolarmi tra la gente del posto, diventare uno di loro. Solo così conosci davvero la cultura di un luogo. L'italiano, come l'arabo, è una lingua poetica, infatti ci sono tanti poeti italiani che ammiro». 

Ad esempio?
«Mi piace molto il cantautorato. Innanzitutto De André, ma anche Venditti, Lucio Dalla, Angelo Branduardi, Celentano. Le mie canzoni preferite sono "Il ragazzo della via Gluck" e "Voglio andare a vivere in campagna". Sento che mi rappresentano. Una mi ricorda la strada che ho fatto finora, l'altra mi ricorda la Ciociaria e i frusinati, ovunque io sia». 

Com'è nata la passione per il calcio?
«Quando ero bambino, in Arabia, guardavo le partite in televisione e chiedevo sempre a mia madre di quale città fosse ogni squadra. Un giorno mi regalò una maglietta di Del Piero del 2006 e lì diventai tifoso della Juventus. Ma in realtà sognavo di tifare una squadra meno conosciuta e il destino mi ha portato a Frosinone». 

Cosa l'ha colpita così profondamente della zona di Frosinone?
«La semplicità della gente e delle cittadine della provincia, come Alatri, Vallecorsa, Collepardo. Mi sono sentito accolto, a casa. Anche a Medina la gente è semplice, aperta, tutti si conoscono e si considerano fratelli. Ho ritrovato la cultura dell'aiutarsi l'un l'altro, la stessa dei racconti dei miei nonni. E poi la cucina: il mio piatto preferito sono le sagne ai fagioli». 

Colleziona maglie di calcio. Quante ne ha? 
«Ormai ho perso il conto. Solo di squadre italiane ne avrò più di duecento. Anche di piccole realtà, come le sarde Arzachena e Olbia. Mi manca quella del Latte Dolce, un quartiere di Sassari. La mia bevanda preferita è il latte e adoro il miele, quindi da quando ho scoperto il nome di questa squadra desidero la loro maglia, perché mi rappresenta come persona». 
 

Lavora per la Federazione sportiva araba, di cosa si occupa precisamente?
«La Federazione è l'unico istituto educativo in ambito sportivo in Arabia. Io organizzo corsi di formazione e progetti educativi legati allo sport in generale. Mi piace pensare a me come a un coltivatore di passioni, a partire dalla mia».

Come è arrivato a fare questo mestiere?
«Ho studiato economia e finanza, ma ho capito che non era quella la mia strada. La mia vera passione, la mia guida, è lo sport, perciò ne ho voluto fare anche il mio lavoro. E ad oggi posso dire che è stata la migliore scelta della mia vita». 

Viaggia molto, oltre alle visite in Italia?
«Sì, sia per lavoro che per piacere. Sono un avventuriero, mentre quando da piccolo viaggiavo con i miei genitori facevamo i turisti, quindi non avevo una conoscenza profonda delle culture degli altri. Il mio nobile obiettivo, quando viaggio, è lasciare invece una traccia di me in ogni luogo e mostrare la vera Arabia. Così, quando la gente penserà all'Arabia Saudita, io spero di avergli lasciato un bel ricordo, di passione, condivisione e amicizia». 
Ultimo aggiornamento: Lunedì 30 Dicembre 2019, 09:52

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